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Cassazione: quando l’installazione di un impianto di videosorveglianza costituisce reato?


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Con la sentenza n. 3255 del 27.01.2021, la Cassazione afferma che l’installazione di un impianto di videosorveglianza, in assenza di accordi con i sindacati, è lecita solo quando, da un alto, ha come unico scopo il controllo del patrimonio aziendale e, dall’altro, non è in grado di verificare l’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti (sul medesimo tema si veda: Poteri del datore di lavoro e controlli difensivi).

Il fatto affrontato

Il titolare di una ditta esercente l'attività di commercio al dettaglio viene ritenuto colpevole del reato di cui agli artt. 4, primo e secondo comma, e 38 della L. 300/1970, per aver installato impianti video all'interno dell'azienda utilizzabili per il controllo a distanza dei dipendenti, senza aver richiesto l'accordo delle rappresentanze sindacali aziendali o dell'Ispettorato.
Avverso la condanna inflittagli l’imputato ricorre in cassazione, deducendo che gli impianti video installati non erano strumenti di controllo lesivi della libertà e dignità dei lavoratori, bensì sistemi difensivi posti a tutela del patrimonio aziendale.

La sentenza

La Cassazione – ribaltando la pronuncia di merito – rileva che non risulta configurabile il reato concernente la violazione della disciplina di cui all'art. 4 della L. 300/1970, quando l'impianto audiovisivo o di controllo a distanza - sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali o di autorizzazione dell'Ispettorato - sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale.

Secondo i Giudici di legittimità, anche in tale ipotesi, ai fini della non configurabilità del reato risulta indispensabile che l’utilizzo dell’impianto non implichi un significativo controllo sull'ordinario svolgimento dell'attività dei dipendenti, a meno che lo stesso non sia stato installato per consentire l'accertamento di gravi condotte illecite poste in essere dai lavoratori.

Per la sentenza, tale bilanciamento trova il conforto anche della giurisprudenza comunitaria, secondo cui il rispetto della privacy dei lavoratori deve essere contemperato - nel rispetto del principio di proporzionalità - con il diritto dell’imprenditore alla tutela del patrimonio aziendale.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso, dal momento che le telecamere installate dal titolare del negozio, essendo puntate sulla cassa e gli scaffali, non potevano ritenersi poste a controllo dell’ordinaria attività lavorativa dei dipendenti.

A cura di Fieldfisher