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Cassazione: l’utilizzo delle mail inviate dal dipendente a fini disciplinari comporta una violazione della privacy?


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Con l’ordinanza n. 15161 del 31.05.2021, la Cassazione afferma che l'utilizzo a fini disciplinari delle e-mail dal contenuto offensivo, inviate da un dipendente in una mailing list ed apprese dalla società a seguito di una segnalazione esterna, non integra una violazione del codice della privacy, a condizione che il datore utilizzi i relativi dati solo per finalità disciplinari e non anche per indagare sulle opinioni del lavoratore.

Il fatto affrontato

Il dipendente, segretario aziendale di un’organizzazione sindacale - a seguito della segnalazione di uno dei partecipanti ad una mailing list del sindacato - riceve una contestazione disciplinare in relazione al contenuto offensivo di alcune e-mail, inviate nella predetta mailing list, nei confronti dei vertici societari.
A fondamento della domanda, il medesimo deduce una violazione del codice della privacy (Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196) integrata dall'utilizzo della corrispondenza di posta elettronica per fini disciplinari.
La Corte d’Appello – confermando la pronuncia dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali – respinge il ricorso, sul presupposto che l'azienda non aveva avuto alcun ruolo nella raccolta dei dati, né aveva effettuato indagini o controlli sulle opinioni del lavoratore, ma li aveva trattati nell'ambito del potere disciplinare spettantegli.

L’ordinanza

La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che la dichiarazione resa da una persona in una conversazione è un elemento identificativo e, come tale, va trattata alla stregua di un dato personale.

Per la sentenza, l’acquisizione di un dato personale del genere non può risultare illecita, allorquando non sia stata raccolta direttamente dal soggetto che la utilizza, ma provenga da un terzo che ne ha avuta diretta conoscenza.

Secondo i Giudici di legittimità, inoltre, il trattamento dei dati contenuti all’interno di un e-mail - seppur in ipotesi configurabili come "sensibili" - non richiede il consenso dell'interessato, quando sia necessario per adempiere ad un obbligo imposto o consentito dalla legge, come l’esercizio del potere disciplinare nei confronti dei propri dipendenti.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso del lavoratore, non ravvisando alcuna violazione della normativa sulla privacy nella condotta datoriale.

A cura di Fieldfisher