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Cassazione: condizioni di impugnabilità della conciliazione in sede sindacale


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Con l’ordinanza n. 9006 del 01.04.2019, la Cassazione afferma che la conciliazione sottoscritta in sede sindacale è impugnabile da parte del lavoratore soltanto in presenza di un vizio del consenso o in difetto di assistenza da parte del rappresentante sindacale, mentre è preclusa al giudice qualsiasi valutazione in ordine alle determinazioni delle parti rispetto alle reciproche concessioni.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, agente di commercio, agisce giudizialmente nei confronti della società mandataria al fine di ottenere la declaratoria di nullità o annullamento del verbale di accordo sindacale transattivo sottoscritto con la stessa.
A fondamento della predetta domanda, il medesimo deduce che il predetto accordo era affetto da diversi vizi, sia per la mancata prova della rituale partecipazione del rappresentante sindacale in sede di stipula, che per la violenza morale esercitata dalla società ai fini della sottoscrizione.

L’ordinanza

La Cassazione, confermando la statuizione della Corte d’Appello, afferma che, in materia di atti abdicativi del lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura.

Secondo la sentenza, ai fini della validità, dai contenuti della transazione, da un lato, deve risultare la comune volontà di comporre la controversia in atto e, dall’altro, deve essere chiara la materia oggetto delle contrastanti pretese giuridiche delle parti.
Laddove emergano tali elementi, il giudice deve solamente accettare la reale volontà negoziale delle parti, non essendo tenuto a valutare la congruità delle loro determinazioni rispetto alle reciproche concessioni, in quanto la considerazione dei sacrifici e vantaggi derivanti dal contratto è rimessa all'autonomia delle parti stesse ed ha, quindi, carattere soggettivo.

Per i Giudici di legittimità, infine, la transazione deve essere dichiarata nulla in presenza di un vizio invalidante del consenso, ravvisabile, ai sensi dell'art. 1435 c.c., nel caso in cui vi sia una minaccia specificamente diretta al fine di estorcere la dichiarazione negoziale, tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell'autore della stessa.

Non ravvisando la presenza di tale condizione nel caso di specie, la Suprema Corte respinge il ricorso presentato dal lavoratore, confermando la legittimità della transazione dal medesimo sottoscritta.

A cura di Fieldfisher