Con l’ordinanza n. 11113 del 27.04.2021, la Cassazione afferma che integrano una discriminazione di genere, ex art. 38 D.Lgs. 198/2006, le intimidazioni subite da una dipendente al rientro dalla maternità e finalizzate a farla desistere dal continuare a lavorare.
Il fatto affrontato
La lavoratrice ricorre giudizialmente al fine di sentir dichiarata la sussistenza di una discriminazione di genere, ex art. 38 D.Lgs. 198/2006, nella condotta tenuta da parte di una sua superiore gerarchica che – al ritorno in servizio dopo la maternità – la aveva esortata a non continuare nel proprio impiego, sì da non creare problemi in azienda per questioni legate all’assistenza del figlio.
L’ordinanza
La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - afferma, preliminarmente, che integrano una discriminazione di genere tutte quelle affermazioni connotate da un disprezzo personale e finalizzate ad esprimere avversione verso opzioni esistenziali alternative, tanto più se espresse (come nel caso di specie) con toni intimidatori per far desistere la destinataria dal proseguire nell'impegno lavorativo.
Per la sentenza, in tali ipotesi, a prescindere dalla formale collocazione gerarchica del soggetto che esprime dette affermazioni, sussiste una responsabilità oggettiva della Società datrice, che si presume aver autorizzato a ciò la dipendente interessata.
Secondo i Giudici di legittimità, la responsabilità è presente anche in caso di mancata investitura da parte del datore, essendo imputabile alo stesso un omesso intervento finalizzato a proteggere i propri dipendenti tramite l’eliminazione di un clima aziendale ostile verso la vittima delle intimidazioni.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della società, confermando una responsabilità della stessa per le discriminazioni di genere attuate dalla dirigente nei confronti della dipendente appena rientrata dalla maternità.
A cura di Fieldfisher