Stampa

Assetto organizzativo delle imprese e sostenibilità.


1. Sguardi e interventi all’interno delle imprese - Secondo l’impostazione tradizionale, restano all’esterno delle imprese le leggi che puntano ad orientarne le scelte tramite la fissazione di obblighi.  

L’incombenza di obblighi e connesse sanzioni condiziona l’operato delle imprese, ma in schemi del genere il come le aziende sono organizzate al loro interno, il come conducono la loro attività sono aspetti che restano immuni, almeno direttamente, da interferenze legislative. 

Questo accade non solo quando gli interventi delle autorità pubbliche prendono la forma delle prescrizioni o delle proibizioni, ma anche quando prendono la forma degli incentivi economici (anche di carattere negativo) o, come può succedere, la forma del nudge

Da qualche decennio, sempre più si hanno provvedimenti legislativi ispirati a tutt’altra filosofia. 

Si è, infatti, maggiormente sensibili alla presenza di interessi che non sarebbero adeguatamente tutelati qualora si intervenisse solo ex post, a comportamento illegittimo già intervenuto, a danno già verificatosi. 

Le imprese devono adeguare procedure e organizzazione in coerenza con le indicazioni legislative ma, proprio in nome del principio di proporzionalità, hanno discrezionalità nel procedere, potendo tener conto delle peculiarità di ciascuna impresa (“natura” e “dimensioni” sono, in genere, gli elementi a tal fine richiamati). [ Per quanto riguarda le implicazioni HR : Risorse umane e assetti organizzativi dell’impresa. La riforma dell'art. 2086 CC. ]

2. I tanti modelli organizzativi … - Il Decreto 231/2001 costituisce un esempio importante della tendenza a cui si sta accennando, ponendosi come fonte legislativa di un modello organizzativo con funzione preventiva, un modello particolarmente articolato ed implicante un sistema di flussi informativi, forme di controllo, whistleblowing, un organismo specializzato all’interno dell’impresa, un sistema disciplinare (art. 6, in particolare).  

Nel corso degli anni, le istanze legislative di assetti organizzativi adeguati si sono moltiplicate e diffuse in maniera alquanto disorganica, accomunate dall’avvertita esigenza di predisporre procedure, presidi, sistemi di raccolta e processamento di informazioni, controlli: misure, queste, tutte finalizzate alla prevenzione e alla mitigazione di rischi incombenti sulla attività di impresa. 

Importanti strumenti di compliance, ispirati dal principio della prevenzione, si rinvengono, ad esempio, nella legislazione antiriciclaggio (d.lgs. n. 231/2007), nella legislazione anticorruzione (l. n. 190/2012). 

A sua volta, alla legge sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (d.lgs. n.81/2008), valorizzando un approccio sistemico alla prevenzione, viene naturale puntare su “modelli di organizzazione e di gestione” (art. 30), in termini che hanno indotto la giurisprudenza ad evidenziare una inscindibile relazione fra il modello di cui all’art. 6 del d.lgs. 231/2001 e il modello di cui all’art. 30 del d.lgs. n. 81/2008. 

Il decreto legislativo sulla comunicazione delle informazioni non finanziarie (d.lgs. n. 254 /2016) costituisce un ulteriore esempio di attenzione verso gli assetti organizzativi dell’impresa. Il primo contenuto della dichiarazione, a cui il decreto vincola le imprese rientranti nel suo campo di applicazione, è proprio il “modello aziendale di gestione ed organizzazione delle attività dell'impresa, ivi inclusi i modelli di organizzazione e di gestione eventualmente adottati ai sensi dell'articolo 6, comma 1 lettera a), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231” e questo, in primo luogo, per quanto riguardante “i temi ambientali e sociali”.  

Il decreto 254, di attuazione della direttiva 2014/95/UE, è destinato ad essere aggiornato, a seguito del varo della nuova direttiva UE in tema di comunicazione societaria sulla sostenibilità. Dato il taglio di tale ulteriore intervento dell’Unione europea, ci sono tutte le ragioni per ritenere che il richiesto adattamento dell’ordinamento nazionale non sminuirà il rilievo dato ai profili organizzativi interni e, anzi, tenderà ad accentuarne l’importanza. 

3. L’assetto organizzativo dell’impresa nella riforma dell’art. 2086 c.c. - Su di un piano più ampio, si colloca l’intervento di arricchimento dell’art. 2086 del codice civile, fonte di consolidamento dello statuto dell’impresa adeguatamente organizzata ed adeguatamente organizzata in generale e non per rispondere a qualche specifica, seppur rilevante, esigenza avvertita a livello normativo. 

Dopo l’aggiunta del comma 2 all’art. 2086, “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa …”. 

Disposizione, questa, che si combina con altre disposizioni del codice civile risalenti alla riforma del diritto societario del 2003 , sviluppando la tendenza legislativa ad intervenire all’interno dell’impresa con riflessi anche sulla responsabilità degli organi sociali. 

L’assetto adeguato, dunque, si pone come elemento essenziale dell’essere e dell’operare dell’impresa societaria, oltre la specifica funzionalizzazione che lo stesso art. 2086 ne evidenzia: la prevenzione della crisi dell’impresa a partire dalla “rilevazione tempestiva della crisi di impresa e della perdita della continuità aziendale”.

3.1. Come l’art. 2086, comma 2, anche le fonti dell’Unione europea - Per riflesso della sua attenzione all’assetto complessivo dell’impresa, l’art. 2086, comma 2, è adatto a recepire input che, in un ordinamento ormai multilivello, provengono dall’Unione europea. 

Questo per come è costruito l’art. 2086, ma anche per come sono costruite fonti dell’Unione che, a loro volta, si preoccupano dell’assetto organizzativo delle imprese. 

Secondo la direttiva sul dovere di diligenza dell’impresa ai fini della sostenibilità, prossima al varo definitivo, gli Stati membri “provvedono a che ciascuna società integri il dovere di diligenza in tutte le politiche aziendali e abbia predisposto una politica del dovere di diligenza …” che contenga elementi come: “descrizione dell’approccio della società al dovere di diligenza, anche a lungo termine; codice di condotta che illustra le norme a cui e i principi a cui devono attenersi dipendenti e filiazioni della società; descrizione delle procedure previste per l’esercizio del dovere di diligenza, comprese le misure adottate per verificare il rispetto codice di condotta…”. Il tutto con l’obiettivo di “integrare la sostenibilità nei sistemi di governo societario e di gestione” e di migliorare “le pratiche di governo societario per integrare meglio nelle strategie aziendali i processi di gestione e attenuazione dei rischi e degli impatti … sull’ambiente”. 

La stessa impostazione è seguita dalla direttiva sulla rendicontazione societaria di sostenibilità, recentemente pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. A stregua di questa ulteriore direttiva, nella rendicontazione di sostenibilità, le informazioni da definire includono la “.. descrizione del modello e della strategia aziendale dell’impresa …” e, in particolare, “piani di impresa … atti a garantire che il modello e la strategia di impresa siano compatibili con la transizione verso una economia sostenibile …”. Il tutto con la sottolineatura che ciò “… richiede l’istituzione di processi” adeguati. 

4. Una realtà normativa “aumentata” (ma non per disposizioni virtuali)? - Nelle recenti normative, nazionali e dell’Unione, molti punti restano da chiarire e sviluppare, a partire dal modo di intendere l’adeguatezza dell’assetto organizzativo e i termini in cui le imprese risultano responsabilizzate rispetto alla sostenibilità (più ristretti nella Direttiva sul dovere di diligenza, più ampi nella Direttiva sulla rendicontazione societaria).

Nondimeno, ricordando che introiettare sta per “accogliere in sé”, può sostenersi che in termini generali nel dover essere delle norme, in atto e in via di implementazione, la sostenibilità sia ormai introiettata, con molte imprese che devono tenerne conto già nella costruzione e gestione delle procedure e degli assetti organizzativi interni prima ancora che nel loro concreto agire verso l’esterno e degli impatti (positivi, negativi) che tale agire produce.

In tale senso, considerando che l’art. 2086 considera l’assetto organizzativo dell’impresa e non singoli segmenti di questo e che le istanze poste dalla sostenibilità sono utilmente pervasive, non è forse irrealistico prospettare che al comma 2 dell’articolo ci si debba sempre più accostare come se fosse direttamente scritto così: “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa in funzione della sostenibilità e anche della rilevazione tempestiva della crisi di impresa e della perdita della continuità aziendale”. 

Angelo Pandolfo, partner Fieldfisher