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Cassazione: se la lettera di licenziamento cita fatti diversi da quelli oggetto di contestazione il lavoratore ha diritto alla reintegra


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Con la sentenza n. 21265 del 28.08.2018, la Cassazione afferma che deve essere reintegrato il lavoratore licenziato per giusta causa, laddove nella relativa lettera il recesso sia basato su fatti diversi da quelli oggetto della precedente contestazione disciplinare.

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per giusta causa dalla società datrice.
A fondamento della propria domanda, deduce che lo stesso gli è stato comminato per una violazione diversa da quella oggetto di contestazione, posto che nella lettera di recesso era stata invocata la recidiva nelle mancanze del dipendente, a fronte della contestazione iniziale nella quale gli era stato addebitato un solo episodio, inerente alla mancata presentazione in servizio per tre giorni consecutivi.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma che, nel caso in cui il fatto posto a base del recesso sia diverso da quello contestato, perché comprendente un nuovo elemento costitutivo della fattispecie, non è applicabile la tutela indennitaria di cui al quinto comma del novellato art. 18 della l. 300/1970.
Quest’ultimo disciplina, infatti, soltanto i casi di sproporzione tra condotta e sanzione espulsiva nelle ipotesi in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa.

Allo stesso modo, secondo la sentenza, in tali circostanze non è applicabile neppure il successivo sesto comma del citato art. 18, disciplinante il regime sanzionatorio delle violazioni meramente formali e procedurali, che trova applicazione in alcuni casi individuati dalla stessa giurisprudenza di legittimità (omessa audizione del dipendente, violazione dei termini previsti dal CCNL, genericità della contestazione, mancata comunicazione dei motivi del recesso).

Ne consegue che l’unica tutela applicabile nei casi in esame è quella reintegratoria, prevista dal comma 4 dell’art. 18, dal momento che l’imprecisione de qua non è un vizio meramente formale, ma fa venire meno i presupposti dell’atto.

Applicando tali principi al caso di specie, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, confermando il diritto del dipendente ad esse reintegrato nel proprio posto di lavoro.

A cura di Fieldfisher