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Cassazione: quando si integra l’insubordinazione


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Con la sentenza n. 22382 del 13.09.2018, la Cassazione afferma che il costante atteggiamento di sfida e disprezzo tenuto dal lavoratore nei confronti dei superiori gerarchici e dell’azienda integra la fattispecie dell’insubordinazione, legittimante l’irrogazione di un licenziamento per giusta causa.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, avente mansioni di magazziniere, in plurime occasioni, abbandona il proprio posto di lavoro dieci minuti prima della fine del turno, invocando il c.d. tempo tuta.
In una di queste circostanze, oppone, inoltre, un netto rifiuto all’espresso invito a riprendere l’attività, rivoltogli dal capo reparto, minacciando, altresì, di scatenare una guerra in azienda.
All’esito di questi episodi, la società datrice irroga un licenziamento per giusta causa al prestatore, che impugna giudizialmente la sanzione espulsiva.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma che, con riferimento alla disubbidienza agli ordini ed alle direttive, il lavoratore può chiedere giudizialmente l'accertamento della illegittimità di un provvedimento datoriale che lo abbia colpito, ma non è autorizzato a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario (conseguibile anche in via d'urgenza), di eseguire la prestazione lavorativa richiesta. Egli è, infatti, tenuto ad osservare le disposizioni impartite dall'imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 c.c.

Per i Giudici di legittimità, l’insubordinazione, nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l'esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale.
Quello che conta, dunque, ai fini di una corretta individuazione di una condotta di insubordinazione - che mira a contemperare, da un lato, l'interesse del datore al regolare funzionamento dell'organizzazione produttiva e, dall'altro, la pretesa del dipendente alla corretta esecuzione del rapporto di lavoro - è l'aggancio al sinallagma contrattuale.
A tal fine sono rilevanti solo le condotte suscettibili di incidere sull'esecuzione e sul regolare svolgimento della prestazione sotto il profilo dell'esattezza dell'adempimento (con riferimento al potere direttivo dell'imprenditore) e dell'ordine e della disciplina, su cui si basa l'organizzazione complessiva dell'impresa (con riferimento al potere gerarchico e disciplinare), che possono risultare da una somma di diversi comportamenti e non necessariamente da un singolo episodio.

Su tali presupposti, la Suprema Corte respinge il ricorso proposto dal lavoratore, ritenendo che il comportamento reiteratamente inadempiente posto in essere dal medesimo, contraddistinto da un costante e generale atteggiamento di sfida e di disprezzo nei confronti dei vari superiori gerarchici e della disciplina aziendale, sia tale da far venir meno il permanere dell'indispensabile elemento fiduciario.

A cura di Fieldfisher