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Cassazione: onere della prova in caso di licenziamento per sopravvenuta inidoneità


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Con l’ordinanza n. 9158 del 21.03.2022, la Cassazione afferma che, in caso di licenziamento per inidoneità sopravvenuta alla mansione, è onere del datore provare l’inesistenza di posizioni – anche inerenti a qualifiche inferiori – cui poter adibire il dipendete.

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per inidoneità al servizio.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, posto che la società non aveva offerto la prova di non poter diversamente utilizzare il dipendente eventualmente anche in mansioni inferiori.

L’ordinanza

La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che l'art. 42 del D.Lgs. 81/2008 prevede che il lavoratore divenuto inabile alle mansioni specifiche possa "ove possibile" essere assegnato anche a mansioni equivalenti o inferiori.

Secondo i Giudici di legittimità, la formulazione della norma mira a contemperare il conflitto tra diritto alla salute ed al lavoro e diritto al libero esercizio dell'impresa.

In particolare, per la sentenza, ciò pone a carico del datore l'obbligo di ricercare - anche in osservanza dei principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto - le soluzioni che, nell'ambito del piano organizzativo prescelto, risultino le più convenienti ed idonee ad assicurare il rispetto dei diritti del lavoratore e lo grava, inoltre, dell'onere processuale di dimostrare di avere fatto tutto il possibile, nelle condizioni date, per l'attuazione dei detti diritti.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, rea di non aver assolto il predetto onere probatorio.

A cura di Fieldfisher