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Cassazione: legittimo l’utilizzo di agenzie investigative per verificare il reale stato di malattia del lavoratore


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Con l’ordinanza n. 11697 del 17.06.2020, la Cassazione afferma che il datore può legittimamente far seguire da un’agenzia investigativa il dipendente in malattia, al fine di verificare se lo stato di salute del dipendente risulta realmente tale da inficiare la capacità lavorativa dello stesso.

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per essersi dedicato ad attività pregiudizievoli per la sua guarigione durante un periodo di assenza per malattia a causa di un trauma contusivo certificato mediante documentazione del pronto soccorso.
A fondamento della predetta domanda, il medesimo deduce che la società aveva scoperto lo svolgimento di dette attività (lunghe ore in bicicletta e camminate con il figlio sulle spalle) a seguito di un pedinamento effettuato per mezzo di un’agenzia investigativa.

L’ordinanza

La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - afferma, preliminarmente, che le disposizioni dell'art. 5 della L.300/1970 pongono al datore un divieto di compiere accertamenti, sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore, se non effettuati attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti.
Ciò non preclude, però, al datore di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l'insussistenza della malattia o la non idoneità di quest'ultima a determinare uno stato d'incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l'assenza.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, nei casi nei quali il datore sia indotto a sospettare che il mancato svolgimento dell'attività lavorativa sia riconducibile alla perpetrazione di un illecito, lo stesso è legittimato a svolgere controlli di tipo investigativo.

Invero, per la sentenza, l’utilizzo di agenzie investigative non viola il precetto di cui agli artt. 2, 3 e 4 dello Statuto dei Lavoratori, allorquando il controllo non sia teso a verificare l'esatto adempimento delle prestazioni, ma sia finalizzato a rinvenire comportamenti disciplinarmente rilevanti tenuti al di fuori dell'ambito lavorativo.

Su tali presupposti, la Suprema Corte respinge il ricorso del dipendente, confermando la legittimità del licenziamento irrogatogli.

A cura di Fieldfisher