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Cassazione: la decorrenza dei termini per l’impugnativa di licenziamento


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Con la sentenza n. 20666 del 08.08.2018, la Cassazione afferma che l'impugnazione del licenziamento, per essere in sé efficace e poter raggiungere il proprio scopo tipico, richiede il rispetto di un doppio termine di decadenza (il primo per la fase stragiudiziale ed il secondo per quella successiva giudiziale), interamente rimesso all’esclusivo controllo del lavoratore impugnante.

Il fatto affrontato

Le lavoratrici, dopo aver impugnato in via stragiudiziale il licenziamento loro irrogato dalla società datrice nel termine prescritto di 60 giorni, provvedono al deposito del ricorso giudiziale fuori dal termine dei successivi 180 giorni previsto dalla legge.
Le stesse, infatti, considerano quale dies a quo non il momento in cui hanno inviato all’azienda l’impugnativa stragiudiziale, ma la data in cui la stessa ha ricevuto detta comunicazione.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dal Tribunale e dalla Corte d’Appello, afferma che il termine di decadenza previsto dall'art. 6, secondo comma, della l. 604/1966 (il quale cita testualmente: “L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro …”), decorre dalla trasmissione dell'atto scritto di impugnazione del licenziamento stabilito dal primo comma del suddetto articolo e non dal perfezionamento dell'impugnazione stessa per effetto della sua ricezione da parte del datore di lavoro.
L'impugnazione del licenziamento, così come legislativamente strutturata a seguito dell'intervento di riforma del 2012, costituisce, infatti, una fattispecie a formazione progressiva, soggetta a due distinti e successivi termini decadenziali, rispetto alla quale risulta indifferente il momento perfezionativo dell'atto di impugnativa vero e proprio.
Non a caso, continua la sentenza, la norma non prevede la perdita di efficacia di una impugnazione già perfezionatasi (dunque già pervenuta al destinatario) per effetto della successiva intempestiva attivazione dell'impugnante in sede contenziosa, ma impone un doppio termine di decadenza affinché l'impugnazione stessa sia in sé efficace.

Per i Giudici di legittimità, dunque, la locuzione "L'impugnazione è inefficace se ...", contenuta all’interno della citata norma, sta ad indicare che, indipendentemente dal suo perfezionarsi (e quindi dai tempi in cui vi sia la ricezione dell'atto da parte del destinatario), il lavoratore deve attivarsi, nel termine indicato, per promuovere il giudizio.
Così che il primo termine si avrà per rispettato ove l'impugnazione sia trasmessa entro sessanta giorni dalla ricezione degli atti indicati da parte del lavoratore, il quale, quindi, da tale momento, avendo assolto alla prima delle incombenze di cui è onerato, è assoggettato a quella ulteriore, sempre imposta a pena di decadenza, di attivare la fase giudiziaria entro il termine prefissato di centottanta giorni.

Su tali presupposti, la Suprema Corte respinge il ricorso proposto dalle lavoratrici, essendo le stesse decadute dalla possibilità di depositare il ricorso giudiziale per superamento del termine ex lege previsto.

A cura di Fieldfisher