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Cassazione: la cessazione dell’appalto non è sufficiente per giustificare un licenziamento per g.m.o.


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Con la sentenza n. 16253 del 29.07.2020, la Cassazione afferma che deve essere reintegrato il lavoratore licenziato per g.m.o. alla fine di un contratto d’appalto, se il datore non prova l’effettiva esuberanza della posizione del dipendente e la sua non riutilizzabilità.

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatogli a causa della cessazione dell’appalto ove lo stesso era impiegato.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, sul presupposto che la cessazione dell'appalto non può costituire di per sé un g.m.o. di licenziamento, in assenza della prova del necessario nesso causale tra la ragione organizzativo produttiva posta a base del recesso e la soppressione del posto di lavoro.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la mancanza di un nesso causale tra il recesso datoriale ed il motivo addotto a suo fondamento integra la manifesta insussistenza del fatto che giustifica la tutela reintegratoria.

Secondo i Giudici di legittimità, detta condizione sussiste ogniqualvolta l’imprenditore deduca la sussistenza di un g.m.o. a fronte della mera cessazione di un appalto, senza dare prova dell’adibizione esclusiva del lavoratore licenziato all’esternalizzazione terminata.

Per la sentenza, infatti, tale circostanza non può essere di per sé sola addotta alla base del recesso, anche a fronte dell’ordinarietà delle cessazioni degli appalti nell’attività imprenditoriale.
Per andare esente da censure, dunque, parte datoriale deve dimostrare il nesso di causalità, anche allegando la struttura organizzativa della società, in modo da dimostrare che la posizione del dipendente licenziato sia effettivamente diventata esuberante e che lo stesso non sia in altro modo utilizzabile.

Non avendo la società assolto tale onere probatorio, la Suprema Corte rigetta il ricorso dalla stessa presentato, confermando l’illegittimità del recesso irrogato.

A cura di Fieldfisher