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Cassazione: illegittimo il licenziamento del dipendente che si lamenta del nuovo incarico


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Con la sentenza n. 11539 del 02.05.2019, la Cassazione afferma che l'invio di una comunicazione ai propri superiori in cui si esprimono - senza l’utilizzo di termini offensivi - perplessità e sfiducia rispetto ad un nuovo incarico non può in alcun modo giustificare il licenziamento disciplinare del dipendente.

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento disciplinare irrogatogli per aver inviato una lettera polemica ed irrispettosa a cinque superiori prima della formalizzazione dell'incarico, poi affidatogli, per un progetto da sviluppare in Ungheria e per aver frapposto svariate difficoltà di ordine personale e professionale durante l'intero corso della missione.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello accolgono la predetta domanda, sul presupposto che le varie comunicazioni inviate dal dipendente non contenevano espressioni offensive o sgarbate nei confronti dei dirigenti destinatari, ma si limitavano ad evidenziare le sue perplessità in merito al nuovo progetto affidatogli e ad esprimere le difficoltà riscontrate nel dare esecuzione all'incarico.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dal Tribunale e dalla Corte d’Appello, ritiene di non poter aderire alla censura mossa da parte della società, secondo la quale i giudici di merito si sarebbero limitati ad una valutazione atomistica dei fatti contestati, senza considerarli invece nella loro concatenazione e rilevanza complessiva, dalla quale sarebbe emerso un persistente e non più tollerabile atteggiamento ostruzionistico e non collaborativo da parte del dipendente.

Secondo la sentenza, infatti, in presenza di un licenziamento per giusta causa intimato a fronte di una pluralità di addebiti, il giudice di merito - pur dovendo esaminare le condotte contestate non atomisticamente, ma anche con riferimento alla concatenazione tra le stesse - ha, altresì, l'obbligo di valutare la valenza disciplinare di ogni singola inadempienza, sia pure nel contesto complessivo della contestazione.

Su tali presupposti, la Suprema Corte - ritenendo che i fatti contestati al lavoratore non integrassero né la giusta causa né il giustificato motivo soggettivo di licenziamento - respinge il ricorso presentato dalla società, confermando il diritto del dipendente alla reintegra nel proprio posto di lavoro.

A cura di Fieldfisher