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Cassazione: il repechage deve risultare impossibile al momento del recesso


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Con l’ordinanza n. 1386 del 18.01.2022, la Cassazione afferma che, nell’ambito dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, l’obbligo di repechage deve ritenersi assolto laddove sia provata l’assenza di collocazioni alternative all’epoca del recesso datoriale e non in un momento successivo.

Il fatto affrontato

La lavoratrice ricorre al fine di ottenere l’ammissione al passivo del fallimento della società datrice, per crediti concernenti il TFR ed il risarcimento del danno (ex art. 18, comma 3, L. 300/1970) riconosciutole a seguito della declaratoria giudiziale di illegittimità del licenziamento per g.m.o. precedentemente irrogatole.
Il giudice delegato ammette il solo credito relativo al trattamento di fine rapporto, ritenendo non dovuto il risarcimento a fronte della legittimità del recesso per soppressione della posizione lavorativa ricoperta dall’istante.

L’ordinanza

La Cassazione - nel ribaltare il decreto opposto - rileva preliminarmente, che ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, è necessario provare l'impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse.

Per i Giudici di legittimità, detto elemento - inespresso a livello normativo e coniato dalla giurisprudenza - trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro, che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che, in caso di g.m.o., non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore.

Secondo la sentenza, spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità di repechage del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso.
Dal momento che tale elemento condiziona il valido esercizio del diritto potestativo del datore, lo stesso deve evidentemente sussistere nel momento in cui è espressa la volontà di recedere, e non in un momento successivo.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso della lavoratrice, posto che l’impugnato decreto non ha operato un tale accertamento, valorizzando una proposta di reimpiego della dipendente, formulata dalla società fallita dopo il licenziamento.

A cura di Fieldfisher