Con l’ordinanza n. 10721 del 17.04.2019, la Cassazione afferma che, in caso di dichiarazione di illegittimità del licenziamento e di impossibilità sopravvenuta dell'obbligazione reintegratoria per causa estranea al datore di lavoro, viene meno anche il diritto del lavoratore a vedersi riconosciuta l'indennità sostitutiva pari a 15 mensilità.
Il fatto affrontato
A seguito dell’impugnativa giudiziale del licenziamento da parte del lavoratore, il Tribunale – accogliendo la domanda dallo stesso proposta – condanna la Banca datrice a pagare l'indennità sostitutiva della reintegra, pari a 15 mensilità, oltre alle retribuzioni maturate dalla data del recesso sino al pagamento della predetta somma.
L’Istituto bancario ricorre in appello, deducendo – tra le altre cose – la non debenzza della citata indennità, stante il pensionamento del lavoratore avvenuto in data antecedente a quella di emanazione della sentenza di primo grado.
L’ordinanza
La Cassazione, confermando la statuizione della Corte d’Appello, afferma che l’obbligo posto in capo al datore di pagare l’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione, previsto dall’art. 18 della legge 300/1970, si qualifica come obbligazione con facoltà alternativa avente ad oggetto la reintegra nel posto di lavoro.
Condizione essenziale per il permanere di detta obbligazione è che sia attuale la facoltà di scelta del lavoratore.
Secondo i Giudici di legittimità, ne consegue che in tutti i casi in cui l'obbligazione reintegratoria sia divenuta impossibile per causa non imputabile al datore di lavoro, ai sensi degli artt. 1256 ss. c.c., non è dovuta neanche l'indennità sostitutiva.
Su tali presupposti, la Suprema Corte respinge il ricorso del lavoratore, posto che resasi impossibile la reintegra a causa del suo pensionamento, lo stesso non può pretendere l'indennità sostitutiva, per estinzione, appunto, dell’obbligazione gravante sul datore.
A cura di Fieldfisher