Con l’ordinanza n. 2606 del 27.01.2023, la Cassazione afferma che risulta discriminatorio il licenziamento del sindacalista, se il datore ha eseguito indagini difensive solo su di lui e non anche sui colleghi svolgenti le medesime mansioni.
Il fatto affrontato
Il dipendente impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli, chiedendo l’accertamento del carattere discriminatorio del recesso.
A fondamento della predetta domanda, il medesimo deduce che la società aveva disposto indagini investigative solo nei suoi confronti, e non anche nei confronti di altri colleghi che operavano con le stesse modalità contestategli, a causa del suo impegno quale attivista sindacale.
L’ordinanza
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva preliminarmente che, laddove vengano in considerazione profili discriminatori o ritorsivi nel comportamento datoriale, il giudice deve tenerne conto di tutte le specifiche condotte lesive dei diritti fondamentali.
Secondo i Giudici di legittimità, in presenza di tali circostanze, incombe sul lavoratore l'onere di allegare e dimostrare il fattore di rischio e il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe, deducendo al contempo una correlazione significativa tra questi elementi.
Di contro, continua la sentenza, il datore di lavoro deve dedurre e provare circostanze inequivoche, idonee ad escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria del recesso.
Non ritenendo assolto quest’ultimo onere nel caso di specie, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società e conferma il carattere discriminatorio dell’impugnato licenziamento.
A cura di Fieldfisher