Stampa

Cassazione: anche la condotta extra-lavorativa può integrare la giusta causa di licenziamento


icona

Con la sentenza n. 20562 del 06.08.2018, la Cassazione afferma che anche la condotta tenuta dal dipendente al di fuori del luogo di lavoro se particolarmente grave può integrare la giusta causa di licenziamento, in quanto idonea a compromettere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, soprattutto nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, dipendente dell’Agenzia dell’Entrate, impugna giudizialmente il licenziamento per giusta causa irrogatogli all’esito della sentenza con la quale aveva patteggiato la pena di due anni di reclusione per il reato di violenza sessuale, di cui all’art. 609 c.p., commesso a danno di una quindicenne.
Confermata la legittimità del recesso in primo e secondo grado, il medesimo ricorre in cassazione, sostenendo, tra le altre cose, l’insussistenza della giusta causa, stante l’estraneità della condotta contestata rispetto all’attività lavorativa svolta.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dal Tribunale e dalla Corte d’Appello, afferma che la nozione di giusta causa di cui all'art. 2119 c.c. ricomprende anche le condotte extra-lavorative che, seppur tenute al di fuori dell'azienda e dell'orario di lavoro e non direttamente riguardanti l'esecuzione della prestazione, possono essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti, compromettendo le aspettative di un futuro puntuale adempimento dell'obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività svolta.

Secondo i Giudici di legittimità tale principio deve essere valutato ancor più rigidamente nel rapporto di lavoro pubblico, ove vengono in rilievo principi generali di rango costituzionale quali l'imparzialità ed il buon andamento della PA (art. 97 Cost.) nonché il principio secondo cui i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore (art. 54, comma 2, Cost.).
Ulteriormente, continua la sentenza, detta severità aumenta nei confronti dei dipendenti delle Agenzie fiscali, poiché le stesse rappresentano lo Stato nell'esercizio di una delle sue funzioni più autoritative - il prelievo fiscale - e i loro dipendenti devono operare in modo da guadagnare sempre più, nell'esercizio di quella funzione, il rispetto e la fiducia che i cittadini devono alle istituzioni.

Su tali presupposti, posto anche che la sentenza penale di patteggiamento costituisce elemento di prova nel procedimento civile, la Suprema Corte respinge il ricorso proposto dal lavoratore, confermando la sussistenza della giusta causa e, conseguentemente, la legittimità del licenziamento irrogatogli.

A cura di Fieldfisher