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Cassazione: procedura e criteri di scelta, ex l. 223/1991, si applicano ai dirigenti a seguito della l. 161/2014


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Con la sentenza n. 5513 del 08.03.2018, la Cassazione afferma che la tutela prevista dalla l. 223/1991, in caso di licenziamento collettivo, può essere applicata anche ai dirigenti soltanto se il recesso datoriale è posteriore all’entrata in vigore della l. 161/2014, con la quale l’ordinamento italiano si è uniformato alla normativa comunitaria prevista sul punto dalla direttiva 98/59/CE.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, dirigente di una società, ricorre giudizialmente contro la sua ex datrice, al fine di richiedere l’accertamento della ingiustificatezza del licenziamento irrogatogli nell’ambito di una procedura di mobilità.
A fondamento della propria domanda deduce la contrarietà della normativa italiana, di cui alla l. 223/1991, che non prevede alcuna tutela a favore dei dirigenti, rispetto alla Direttiva europea 98/59/CE, chiedendo la disapplicazione, nei suoi confronti, della norma interna.

La sentenza

La Cassazione conferma la statuizione con la quale la Corte di Appello ha affermato che la procedura di licenziamento collettivo dettata dalla l. 223/1991 non trova applicazione nei confronti dei dirigenti licenziati anteriormente all’entrata in vigore della l. 161/2014.

Solo con quest’ultima legge, infatti, l’ordinamento italiano, in adempimento all'obbligo di conformarsi al diritto comunitario, a seguito della pronuncia della CGUE C-596/12, ha esteso anche ai dirigenti l'applicazione della procedura relativa ai licenziamenti collettivi, prevedendo un regime sanzionatorio ad hoc in caso di violazione degli obblighi procedurali o dei criteri di scelta, prima inesistente.

In base al principio della legge ratione temporis applicabile la pronuncia di merito ha, quindi, correttamente escluso la possibilità di pervenire, sulla base di un'interpretazione conforme alla Direttiva 98/59/CE, all'estensione anche ai dirigenti della disciplina dettata dalla Legge n. 223 /1991, nel testo anteriore alla richiamata modifica legislativa, in ragione del chiaro tenore letterale della previsione risultante dal combinato disposto dell'art. 24 e dell'art. 4, comma 9, della stessa legge 223, che limitava il collocamento in mobilità agli impiegati, agli operai ed ai quadri eccedenti.

I Giudici di legittimità affermano, altresì, l’infondatezza del motivo di ricorso incentrato sulla disapplicazione della suddetta norma interna per contrasto con la direttiva comunitaria.
Infatti, continua la sentenza, dalle direttive non attuate non possono discendere effetti orizzontali, ossia la possibilità per il singolo di far valere le disposizioni della direttiva anche nei confronti di altri soggetti privati, in quanto la direttiva vincola solo lo Stato cui è diretta e dunque non può di per sé imporre obblighi a carico dei singoli individui in assenza di misure di attuazione.

Su tali presupposti, la Suprema Corte, stante la corretta applicazione al caso di specie della normativa prevista dalla l. 223/1991, nella sua versione anteriore alla riforma del 2014, ha rigettato il ricorso proposto dal dirigente.

A cura di Fieldfisher