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Cassazione: è ritorsivo il licenziamento collettivo in cui la prevalenza di un criterio di scelta non è provata in concreto


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Con la sentenza n. 6987 del 21.03.2018, la Cassazione afferma che, nell’ambito di una procedura di riduzione del personale ex l. 223/1991, parte datoriale, nella scelta dei lavoratori da licenziare, può dare prevalenza anche al criterio delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative, purché tale scelta trovi giustificazione in fattori obiettivi, la cui esistenza sia provata in concreto, e non sottenda intenti elusivi o ragioni discriminatorie.

Il fatto affrontato

La lavoratrice, addetta al reparto cassa di un supermercato, licenziata nell’ambito di una procedura di riduzione del personale ex l. 223/1991, impugna giudizialmente il recesso datoriale, sostenendo la ritorsività dello stesso.
A fondamento della propria domanda deduce che la società aveva adottato unilateralmente, senza portare preventivamente a conoscenza di ciò le organizzazioni sindacali, un calcolo applicativo dei criteri di scelta, nel quale aveva accordato prevalenza al criterio delle esigenze produttive, al fine di espellere i dipendenti che non avevano accettato di aderire alla turnazione proposta dal datore.

La sentenza

La Cassazione, richiamando preliminarmente il precetto contenuto nell’art. 5 della l. 223/1991, sottolinea come, nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo, parte datoriale possa individuare i lavoratori da licenziare in relazione alle esigenze tecnico-produttive e organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti dai contratti collettivi stipulati con i sindacati ovvero, in mancanza di questi contratti, nel rispetto dei seguenti tre criteri in concorso tra loro: carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico-produttive ed organizzative.

Ciò, secondo i Giudici di legittimità, significa che il datore, una volta fatta una valutazione complessiva, può attribuire un peso maggiore ad uno dei diversi criteri, ivi incluso quello inerente le esigenze produttive ed organizzative.
In quest’ultimo caso, però, tale scelta deve trovare giustificazione in fattori obiettivi, la cui esistenza deve essere provata concretamente dal datore.
Diversamente, continua la sentenza, si incorrerebbe in un’irregolarità, ben potendo la società sottendere alla scelta un intento elusivo od una ragione discriminatoria, volta all’espulsione di una particolare categoria di dipendenti.

Su tali presupposti, la Suprema Corte, posto che, nel caso di specie, la società aveva assegnato un punteggio nettamente superiore al criterio delle esigenze produttive ed organizzative, dandogli una rilevanza decisiva in base alla disponibilità dei vari dipendenti ad accettare la suddivisione del lavoro per fasce orarie, ha respinto il ricorso proposto dall’azienda, reputando la condotta della medesima discriminatoria nei confronti di quei prestatori che, per gravi motivi personali o familiari, non avevano potuto aderire alla turnazione.

A cura di Fieldfisher