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Cassazione: le conseguenze dello svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego


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Con l’ordinanza n. 18901 del 15.07.2019, la Cassazione afferma che, nel pubblico impiego, il giudicato sullo svolgimento di mansioni superiori dà diritto alla corresponsione delle retribuzioni maggiorate, ma non anche al riconoscimento permanente della qualifica superiore.

Il fatto affrontato

Il lavoratore - dipendente di un Ente pubblico - ricorre giudizialmente al fine di ottenere il riconoscimento delle differenze retributive tra quanto percepito per il livello contrattuale di formale appartenenza e quanto spettantegli per lo svolgimento di mansioni superiori per il periodo dal 23.10.2008 al 31.05.2011.
A fondamento della richiesta, il medesimo deduce che detto diritto gli spettava anche in forza di una sentenza passata in giudicato che aveva accertato lo svolgimento di mansioni superiori per un periodo antecedente.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, sostenendo che gli effetti del giudicato si dovevano considerare estesi anche ai periodi successivi oggetto della nuova causa, non avendo l’Ente datore provato alcun mutamento delle mansioni.

L’ordinanza

La Cassazione, ribaltando quanto statuito dalla Corte d’Appello, afferma che nel pubblico impiego privatizzato, lo svolgimento di mansioni superiori non può comportare l'acquisizione delle corrispondenti qualifiche (art. 52, comma 1, D.Lgs. 165/2001), ma solo il diritto alle maggiori retribuzioni per il periodo interessato.
Ne consegue che, in tale ambito, lo svolgimento di mansioni superiori non comporta la maturazione di effetti destinati a durare nel tempo né porta ad una stabile modifica alla configurazione del rapporto di lavoro preesistente tra le parti.

Per la sentenza, il lavoratore ha, invece, l’onere di provare e dimostrare - per i vari periodi di tempo azionati in giudizio - l’esistenza dei presupposti del proprio diritto alle retribuzioni superiori.

Secondo i Giudici di legittimità, anche laddove il pubblico dipendente riesca ad assolvere tale onere probatorio, gli effetti del relativo giudicato non possono operare rispetto ai periodi successivi all’emanazione della sentenza.
Tale principio generale soffre, tuttavia, di una deroga in presenza di due determinate circostanze - la piena coincidenza dei fatti costitutivi del diritto e l’immutato regime giuridico – normativo - che determinano la valenza del precedente giudicato ai fini della qualificazione dell'accaduto come esercizio di mansioni superiori.

Alla luce di ciò, la Suprema Corte accoglie il ricorso dell’Ente datore, dichiarando non dovute le differenze retributive al dipendente.
Ciò sul presupposto che il mutamento del regime giuridico di riferimento dovuto all’emanazione di un nuovo e diverso CCNL, aveva eliminato gli effetti del precedente giudicato.

A cura di Fieldfisher