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Cassazione: criteri di liquidazione del danno da demansionamento


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Con l’ordinanza n. 16595 del 20.06.2019, la Cassazione afferma che, ai fini della determinazione del danno patrimoniale derivante da demansionamento, è necessario che il Giudice proceda ad un’enunciazione specifica dei criteri applicati e giustifichi l’adeguamento della liquidazione alle particolarità del caso concreto.

Il fatto affrontato

Il lavoratore ricorre giudizialmente al fine di vedersi riconosciuto il risarcimento del danno professionale subito in conseguenza del demansionamento.
Il Tribunale di Roma accoglie la predetta domanda, condannando la società datrice a liquidare al dipendente una somma pari al 50% della retribuzione percepita dalla data della dequalificazione sino a quella dell'estinzione del rapporto di lavoro.
La Corte d’Appello di Roma riforma parzialmente la pronuncia, riducendo l'ammontare del risarcimento del danno patrimoniale nella misura del 30% delle retribuzioni maturate nel periodo controverso, sull’unico presupposto che questa era la prassi in uso della giurisprudenza capitolina.

L’ordinanza

La Cassazione, ribaltando la statuizione della Corte d’Appello, afferma, preliminarmente, che il danno patrimoniale derivante dal demansionamento del lavoratore non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, ma deve essere provato dal lavoratore anche mediante il meccanismo presuntivo, secondo i dettami dell'art. 2729 c.c., attraverso l'allegazione di elementi gravi, precisi e concordanti.

Secondo la sentenza, una volta adempiuto l'onere di allegazione da parte del lavoratore, spetta al giudicante procedere alla quantificazione del danno, mediante un processo logico – giuridico che tenga conto degli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione ed alle altre circostanze del caso concreto.

Per i Giudici di legittimità, detta quantificazione può essere fatta anche in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c.
In presenza di tale circostanza - aI fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo - è necessario che il giudicante indichi, almeno sommariamente e nell'ambito dell'ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l'entità del danno.

Non ravvisando i predetti elementi nel caso di specie - ove la sentenza d’appello aveva ridotto il risarcimento richiamandosi semplicemente alla prassi invalsa presso il distretto territoriale, senza procedere ad alcuna giustificazione - la Suprema Corte accoglie il ricorso presentato dal lavoratore, cassando con rinvio la pronuncia impugnata.

A cura di Fieldfisher