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Succede che infermieri si rifiutino di lavorare per mancanza di DPI


corsia di ospedale
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Il rischio di contagio e di diffusione del Covid-19 ha messo in evidenza la questione della sicurezza sul posto di lavoro. Ricordiamo a tal proposito che se è vero, da un lato, che sono sospese le attività produttive industriali e commerciali, dall’altro proseguono i servizi essenziali e di pubblica utilità per i quali è prevista la garanzia “di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative”. (V. Protocollo Inail 14 marzo 2020).

La tematica, dunque, coinvolge esclusivamente i lavoratori impiegati in simili servizi. La cronaca offre numerosi spunti di riflessione che consentono di comprendere tutte le criticità connesse alla questione. Solo da ultimo si richiama il caso delle infermiere di Livorno, licenziate perché si sono rifiutate di lavorare in assenza di dispositivi di sicurezza (mascherine e guanti). Dispositivi che in questo contesto storico risultano chiaramente essenziali, tanto più per gli operatori sanitari che lavorano a stretto contatto con soggetti positivi al Covid-19, o potenzialmente tali.

Il tema della sicurezza sul posto del lavoro solleva numerosi dubbi in ordine alla condotta del lavoratore e del datore di lavoro. Il caso richiamato delle infermiere di Livorno offre, in particolare, un input per approfondire e comprendere se sia legittimo il rifiuto opposto dal lavoratore a prestare la propria attività in assenza dell’impiego di adeguati mezzi di sicurezza e, ancora, se sia legittimo il licenziamento comminato al lavoratore per effetto del suo rifiuto.

Il datore di lavoro è gravato da un obbligo di sicurezza in favore dei proprio dipendenti. Pertanto deve adottare tutte le misure necessarie e idonee a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei propri dipendenti. Tale obbligo è sancito dalle norme generali del codice civile e, oggi, ulteriormente rafforzato dai numerosi provvedimenti succedutisi negli ultimi giorni in ragione della pandemia Covid-19.

Laddove il datore di lavoro non ottemperi all’obbligo di sicurezza, il lavoratore, in ossequio ai principi di correttezza e buona fede, deve informarlo in ordine all’assenza di misure di sicurezza o alla inadeguatezza delle stesse. Se, nonostante la comunicazione, il datore non adotta alcuna misura, il lavoratore può legittimamente rifiutarsi di eseguire la prestazione lavorativa pur con la messa a disposizione delle energie lavorative. Il rifiuto fonda sulla considerazione che le situazioni pregiudizievoli per la salute e l’incolumità incidono su di un diritto fondamentale, espressamente previsto dall'art. 32 Cost., che può e deve essere tutelato in via preventiva. Tuttavia la messa a disposizione delle energie lavorative rivela la buona fede del lavoratore che, nonostante le precarie condizioni di sicurezza, si rende disponibile al lavoro non appena vengano adottate misure idonee.

Ne consegue che il rifiuto del lavoratore si configura come un inadempimento incolpevole che segue all’inadempimento colpevole datoriale. Nella comparazione tra i due inadempimenti contrattuali, quello datoriale assume certamente un connotato di gravità tale da rendere giustificato, o quantomeno giustificabile, l’inadempimento del lavoratore.

Nella prassi, all’inadempimento del lavoratore può seguire un provvedimento disciplinare più o meno grave da parte del datore di lavoro. Tuttavia è da valutare la legittimità di tale provvedimento visto che il rifiuto del lavoratore, oltre ad essere determinato dalla condotta omissiva del datore di lavoro, risponde ad un principio di autotutela.

ACDR