Stampa

Il mancato rispetto dell’obbligo vaccinale da parte del personale sanitario


icona

1. L’intervento legislativo

Nell’ottica di contrastare la diffusione del Covid-19 e di incentivare la campagna vaccinale, il Governo ha esteso progressivamente l’obbligo vaccinale alle professioni che rivestono un ruolo di rilievo nella società per la tutela della salute pubblica.

L’articolo 4 del D.L. 1° aprile 2021, n. 44, riguardante gli obblighi vaccinali per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario è stato modificato dall’art. 1 D.L. 26 novembre 2021 n. 172, prevedendo che, a far data dal 15 dicembre 2021, i soggetti obbligati debbano sottoporsi oltre che al ciclo vaccinale primario, alla somministrazione della successiva dose di richiamo, identificandola come requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative.
L’accertamento dell'eventuale inadempimento dell'obbligo vaccinale adottato dall'Ordine territoriale competente, all'esito delle verifiche effettuate, ha natura dichiarativa, non disciplinare e determina l'immediata sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie ed è annotato nel relativo Albo professionale.

In forza del medesimo D.L. 26 novembre 2021 n. 172, dal 15 dicembre 2021, l'obbligo vaccinale è stato esteso anche alle seguenti categorie:
a) personale scolastico;
b) personale del comparto della difesa, sicurezza e soccorso pubblico, della polizia locale;
c) personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture socio-sanitarie;
d) personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa alle dirette dipendenze del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria o del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, all'interno degli istituti penitenziari per adulti e minori.
La vaccinazione costituisce, anche in questo caso, requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati.

Con il D.L. n. 1 del 2022, l’obbligo vaccinale è stato, poi, ulteriormente esteso, non solo in funzione della professione svolta ma anche all’età anagrafica, ai cittadini italiani e di altri Stati membri dell'Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonché ai cittadini stranieri di cui agli articoli 34 e 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età, fermo restando quanto previsto dagli articoli 4, 4-bis e 4-ter del medesimo D.L.
Dal 1° febbraio 2022, inoltre, l'obbligo si applica al personale delle università, delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica e degli istituti tecnici superiori.

2. Gli orientamenti della giurisprudenza

Anche alla luce dell’evoluzione normativa ora esposta, la giurisprudenza di merito ed amministrativa si è tendenzialmente espressa in favore dell’obbligo vaccinale, facendo prevalere l’esigenza di tutela dell’interesse pubblico rispetto al diritto individuale di autodeterminazione.
Tale orientamento è divenuto vieppiù dominante dopo che, con l’introduzione dell’obbligo vaccinale, il Governo ha espressamente previsto, come conseguenza del mancato adempimento del medesimo obbligo, la collocazione automatica del dipendente in stato di sospensione dal lavoro con venir meno del diritto alla retribuzione.
Malgrado ciò, le azioni giudiziali dei lavoratori hanno continuato ad alimentare il contenzioso pendente su tale tematica e non sono mancate pronunce che hanno negato la legittimità del provvedimento datoriale di sospensione.

Le obiezioni prospettate hanno riguardato la conformità dell’obbligo vaccinale ai principi costituzionali e comunitari, le ipotesi di derogabilità alla normativa introduttiva dell’obbligo e l’individuazione di possibili misure alternative alla sospensione.

Ripercorrendo gli argomenti sostenuti dalle più rilevanti sentenze intervenute sul tema deve, innanzitutto, segnalarsi la posizione assunta dal Consiglio di Stato che, con la pronuncia 7045/2021, ha ritenuto legittima l’introduzione dell’obbligo vaccinale contro il virus Sars -Covid 19.
A fondamento di tale decisione, il Collegio ha respinto l’affermazione secondo cui i vaccini contro il Sars-Cov-2 sarebbe stati “sperimentali” in quanto approvati senza un rigoroso processo di valutazione scientifica e di sperimentazione clinica che ne abbia preceduto l’ammissione. Ciò sul presupposto che, in realtà, la maggiore rapidità e la parziale sovrapposizione delle fasi di sperimentazione nella procedura attuata avrebbero comunque consentito di acquisire dati sufficientemente attendibili.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto, inoltre, non giustificabile attendere il tempo necessario, astrattamente indefinito, necessario ad affrontare tutte le possibili sperimentazioni cliniche sui vaccini dal momento che, in una situazione di emergenza pandemica, il potenziale rischio di un evento avverso per il singolo individuo con l’utilizzo di quel farmaco sarebbe stato “di gran lunga inferiore del reale nocumento per una intera società senza l’utilizzo di quel farmaco”.
Ha ritenuto, infine, che l’efficacia dei vaccini contro il Sars-Cov-2 ha trovato conferma nell’evidenza dei dati sull’andamento dell’epidemia così come la sua sicurezza.
Sull’evidenzia di un bilanciamento rischi/benefici assolutamente accettabile, la sentenza ha concluso, dunque, ritenendo l’uso del vaccino misura certamente conforme ai principi costituzionali, visti “i valori in gioco”, così escludendo che il margine di incertezza dovuto al c.d. “ignoto irriducibile” avrebbe potuto giustificare il fenomeno della esitazione vaccinale.
Tale conclusione, ad avviso del Collegio, ha trovato conferma anche nel principio di solidarietà posto a fondamento della nostra Costituzione e nell’impossibilità di accedere alla “logica dei cc.dd. diritti tiranni, e cioè di diritti che non entrano nel doveroso bilanciamento con egual diritti, spettanti ad altri, o con diritti diversi, pure tutelati dalla costituzione”.
Tale pronuncia comunque criticata di recente anche da diversa dottrina, è stata recepita anche da successive pronunce di merito.

Si segnala, in particolare, la recente sentenza del Tribunale di Catanzaro del 17.12.2021 che, in linea con l’orientamento dei Giudici amministrativi, ha rimarcato la necessità che il diritto soggettivo individuale al lavoro ed alla retribuzione, seppur meritevole di tutela, non si ponga in contrasto con l’interesse generale alla salute pubblica.
Il Tribunale ha precisato che, in carenza di legittime ragioni ostative all’obbligo vaccinale, le ragioni del singolo sono destinate a soccombere soprattutto se disancorate da qualsivoglia conforto scientifico e, in particolare, nel caso in cui il soggetto che rifiuti di sottoporsi alla somministrazione vaccinale sia un esercente la professione sanitaria operante in un contesto in cui il rischio di diffusione del virus è più elevato.
Nel caso di specie, il Giudice calabrese si è trovato a valutare la posizione di un’infermiera addetta al reparto di pediatria e destinata ad entrare in contatto con bambini non ancora soggetti alla copertura vaccinale ed, in quanto tali, certamente più esposti, rispetto ad adulti vaccinati, al possibile contagio.
La sentenza sostenendo, in questa chiave, la legittimità del provvedimento di sospensione adottato dalla Struttura sanitaria datrice di lavoro, ha colto l’occasione per ribadire, altresì, l’insussistenza di incompatibilità tra l’introduzione dell’obbligo vaccinale e l’art. 32 Cost. sul presupposto che il trattamento sanitario è destinato non solo a preservare lo stato di salute di colui che è soggetto all’obbligo ma, altresì, a tutela lo stato di salute di terzi.
Nel bilanciamento dei due interessi, il diritto al lavoro e alla retribuzione della dipendente è destinato a soccombere, in un’ottica di solidarietà sociale, rispetto al diritto alla salute pubblica.
In questo senso si era già espresso anche il Tribunale di Belluno con pronuncia del 06.05.2021.

Se questa è la posizione prevalente assunta dalla giurisprudenza non sono mancate pronunce che hanno negato, a contrario, la legittimità del provvedimento datoriale di sospensione.

Si segnala in questo senso la sentenza del Tribunale di Velletri del 14.12.2021 che, proponendo una lettura opposta del bilanciamento di interessi sopra menzionato, ha sostenuto che non in tutti i casi la prestazione degli operatori di interesse sanitario non vaccinati debba ritenersi vietata, ma solo laddove quest'ultima incida sulla salute pubblica e su adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza.
Secondo la sentenza de qua, se la prestazione, per i particolari compiti svolti dall'operatore sanitario o per le modalità di svolgimento, non si traduce in un effettivo rischio specifico e superiore rispetto a quello che corre qualunque lavoratore di altri settori pubblici o privati, l'obbligo e la conseguente sospensione non si giustificano proprio nell'ottica di un necessario bilanciamento costituzionale degli interessi.
Anzi, ad avviso del Tribunale, se le prestazioni rese in concreto dal dipendente non vaccinato lo espongono o espongono i terzi al medesimo rischio per la salute, il provvedimento di sospensione si tradurrebbe in una indebita discriminazione tra operatori di interesse sanitario e operatori di altri settori, in violazione dell'art. 3 della Costituzione.
Conseguentemente, si legge nella sentenza, onere del datore di lavoro sarebbe stato provvedere, preliminarmente, alla adibizione del lavoratore non vaccinato a mansioni diverse che non comportassero un rischio specifico per la salute. Anzi, nel caso specifico il Tribunale arriva ad imputare al datore di lavoro, soggetto pubblico operante nel settore sanitario, un vero e proprio obbligo di repêchage ritenendo, stante lo stato emergenziale in atto, impossibile per lo stesso non reperire mansioni, anche se non sanitarie, idonee cui assegnare la dipendente.
A sostegno di tale tesi il Giudicante richiama il disposto del comma 8 del nuovo articolo 4 D.L. 44/2021 secondo il quale per il periodo in cui la vaccinazione è omessa o differita, il datore di lavoro adibisce i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da Sars Covid-19.

Sull’obbligo di ricollocazione del dipendente non vaccinato è intervenuto anche il Tribunale di Roma con la sentenza del 08.12.2021 il quale ha proposto, invece, una lettura completamente opposta a quella ora esposta.
Con la sentenza citata, il Giudice romano ha piuttosto sostenuto che la formulazione del comma 8 dell’art. 4 D.L. 44/2011, lungi dal far riferimento, neppure implicito, all’onere datoriale di agevolare il reimpiego del sanitario inadempiente all’obbligo vaccinale, preveda, unicamente, l’adibizione dello stesso a mansioni diverse “ove possibile”.
Si legge nella pronuncia: “Questo giudice non condivide l’impostazione di parte della giurisprudenza di merito che estende all’obbligo datoriale di cui si discute il regime probatorio dell’obbligo di repechage. Le due fattispecie non appaiono infatti sovrapponibili: un conto è il licenziamento ed altro un provvedimento di temporanea sospensione; da un lato si tratta di valutare le ragioni aziendali che determinano la cessazione del rapporto di lavoro e dall’altro le ragioni di tutela della salute dei dipendenti (tutti) e degli utenti in un periodo di emergenza sanitaria, che impongono una sospensione temporanea del rapporto per una scelta volontaria dell’operatore sanitario dipendente. Esclude pertanto questo giudice che all’onere probatorio previsto dal comma 8 all’epoca in vigore debbano applicarsi i principi giurisprudenziali in materia di obbligo di repechage, dovendosi piuttosto ritenere che, in assenza di specifiche allegazioni attoree circa l’esistenza di posti compatibili e disponibili, l’onere datoriale sia comunque temperato e possa ritenersi assolto mediante presunzioni, tanto più nell’odierno contesto cautelare. A confortare la tesi esposta vi è la significativa circostanza che l’obbligo datoriale previsto dall’originario comma 8 è stato eliminato dal legislatore con la riscrittura dell’art. 4 ad opera del DL. 26.11.2021”.

In un altro caso, il Tribunale di Padova, con provvedimento del 07.12.2021, occupandosi della posizione di una infermiera sospesa, in quanto non vaccinata, ma che aveva già contratto il virus alcuni mesi prima, ha ritenuto di rinviare alla Corte di Giustizia Europea l’analisi di una serie di questioni preliminari.
Nello specifico il Tribunale ha chiesto alla CGUE:
1) se le autorizzazioni condizionate relative ai vaccini oggi in commercio debbano ritenersi valide a fronte del fatto che in più Stati Membri (tra cui l'Italia) sono state approvate cure alternative efficaci;
2) se i vaccini autorizzati in forma condizionata possano essere utilizzati anche qualora il soggetto sia stato già contagiato ed abbia già raggiunto l’immunizzazione;
3) se i vaccini autorizzati in forma condizionata possano essere utilizzati con finalità cautelativa senza alcuna procedimentalizzazione o se i destinatari possano opporsi fintanto che non si possa escludere controindicazioni e/o che i benefici del vaccino siano superiori a quelli derivanti da farmaci alternativi;
4) se l'eventuale non assoggettamento al vaccino possa comportare automaticamente la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, o se si debbano contemplare misure sanzionatorie graduali conseguenti al mancato rispetto dell'obbligo vaccinale;
5) se laddove il diritto nazionale consenta il repechage, il procedimento volto a verificare la possibilità di essere adibiti a mansioni diverse debba avvenire in contraddittorio con il lavoratore;
6) se sia compatibile con il Regolamento n. 953 del 2021 e i principi di proporzionalità e di non disçriminazione ivi contenuti, la disciplina di uno Stato membro che imponga obbligatoriamente il vaccino anti COVID autorizzato in via condizionata a tutto il personale sanitario anche se proveniente da altro Stato membro e sia presente in Italia ai fini dell'esercizio della libera prestazione di servizi e della libertà di stabilimento.
Nella prospettiva di dirimere, se possibile, i dubbi interpretativi ed applicativi, emersi anche nelle altre pronunce citate, si attende la decisione della Corte di Giustizia UE.

Avv. Andrea Consolini - Fieldfisher