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Consiglio di Stato: quando si integra il mobbing nel pubblico impiego


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Con la sentenza n. 952 del 09.02.2022, il Consiglio di Stato afferma che, nel pubblico impiego, si integra il mobbing laddove venga posto in essere un processo sistematico di cancellazione della figura del lavoratore, portato avanti attraverso una continua eliminazione dei mezzi e dei rapporti interpersonali necessari per svolgere la normale attività lavorativa.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, dipendente della Polizia Penitenziaria, ricorre giudizialmente al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti agli episodi vessatori, qualificabili come mobbing, posti in essere nei suoi confronti dai suoi superiori.
A fondamento della propria domanda, il medesimo deduce, da un lato, di essere stato oggetto di numerose azioni disciplinari prive di fondamento e, dall’altro, di essere stato volontariamente adibito a mansioni stressanti e non compatibili con i suoi problemi di salute.
Il TAR Calabria rigetta il ricorso, sul presupposto che le scelte amministrative censurate dall’istante non evidenziavano alcun intento evidentemente persecutorio, non dimostrando, i poteri esercitati, quei caratteri di esorbitanza e pretestuosità necessari per integrare la fattispecie di illecito da mobbing.

La sentenza

Il Consiglio di Stato afferma, preliminarmente, che nell’ambito dei rapporti di pubblico impiego e della conseguente responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., il mobbing si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati, sistematici ed esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del prestatore, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica.

Secondo i Giudici, il tratto caratterizzante del mobbing è, dunque, rappresentato dalla sussistenza di una condotta volutamente prevaricatoria da parte del datore di lavoro volta ad emarginare o estromettere il lavoratore dalla struttura organizzativa.

Per la sentenza, quindi, tale condotta illecita non è ravvisabile quando sia assente la sistematicità degli episodi ovvero i comportamenti su cui viene basata la pretesa risarcitoria siano riferibili alla normale condotta del datore di lavoro - funzionale all'assetto dell'apparato amministrativo - o, infine, quando vi sia una ragionevole ed alternativa spiegazione al comportamento datoriale.

Ritenendo ricorrente, nel caso di specie, queste ultime ipotesi, il Consiglio di Stato rigetta l’appello proposto dal pubblico dipendente.

A cura di Fieldfisher