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Cassazione: unitarietà del danno non patrimoniale


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Con la sentenza n. 7840 del 29.03.2018, la Cassazione afferma che il danno biologico, quello morale e quello esistenziale, costituiscono le componenti dell'unitario danno non patrimoniale e danno luogo ad una valutazione globale e non già atomistica per singoli tipi, escludendo che le varie voci possano essere invocate singolarmente con l'intento esclusivo di aumentare il quantum del risarcimento.

Il fatto affrontato

La Corte d'Appello accoglie la pretesa risarcitoria di due medici, per la violazione dell'obbligo di protezione derivante dalla utilizzazione delle prestazioni dei sanitari nel servizio turni di disponibilità ben oltre il limite contrattuale.
La Corte territoriale, recependo le risultanze della CTU, che aveva diagnosticato ai lavoratori una sindrome psicopatologica ansioso-depressiva con nucleo attivo e persistente, procede ad una valutazione unitaria del danno, attribuendo ai lavoratori un'invalidità complessiva dell'8 % per postumi permanenti.
Avverso tale decisione propongono ricorso i lavoratori chiedendo il riconoscimento oltre che del danno biologico, anche di quello morale ed esistenziale.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte di Appello, ribadisce il consolidato principio giurisprudenziale che ritiene che il danno non patrimoniale costituisca una categoria unitaria, escludendo che i vari nomina iuris che lo contraddistinguono possano essere invocati singolarmente con l'intento di aumentarne il quantum.

In particolare, il danno biologico, inteso come lesione alla salute, quello morale, cioè la sofferenza interiore e quello dinamico-relazionale, definibile come esistenziale, costituiscono, dunque, secondo la giurisprudenza, le componenti dell'unitario danno non patrimoniale e danno luogo ad una valutazione globale e non già atomistica per singoli tipi.

Secondo i Giudici di legittimità, ne consegue che, in caso di mancata liquidazione del cosiddetto danno morale, occorre che il ricorrente, in sede di impugnazione della sentenza, non si limiti ad insistere sulla separata liquidazione di tale voce di danno, ma che articoli chiaramente la doglianza come erronea esclusione, dal totale ricavato in applicazione delle cosiddette "tabelle di Milano", delle componenti di danno diverse da quella originariamente descritta come danno biologico, risultando, in difetto, inammissibile la censura, atteso il carattere tendenzialmente omnicomprensivo delle previsioni delle predette tabelle.

Non risultando, nel caso di specie, così articolata la doglianza dei due medici, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso avanzato dai medesimi.

A cura di Fieldfisher