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Cassazione: risarcibile il danno da straining anche se il ricorrente lamenta solo il mobbing


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Con l’ordinanza n. 18164 del 10.07.2018, la Cassazione afferma che il dipendente può ottenere il risarcimento del danno in conseguenza di condotte qualificabili come straining, seppur nel ricorso lamenti di essere stato oggetto soltanto di mobbing (sul punto si veda anche: Cassazione: anche lo straining dà diritto al risarcimento ex art. 2087 c.c.).

Il fatto affrontato

La lavoratrice ricorre giudizialmente al fine di sentir accertare la sussistenza di una condotta mobbizzante da parte della società datrice con condanna di quest'ultima al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi, patrimoniali e non, nella misura di € 200.000,00.
In seguito a ciò, la Corte d’Appello afferma che, essendo stato provato un unico episodio vessatorio, non poteva ritenersi sussistente la fattispecie di mobbing e neppure quella di straining, essendo stata avanzata la relativa domanda solo nel secondo grado del giudizio.

L’ordinanza

La Cassazione, ribaltando la statuizione della Corte d’Appello, ribadisce, preliminarmente, che lo straining altro non è se non una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie, che, ove si rivelino produttive di danno all'integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull'art. 2087 c.c.

Secondo i Giudici di legittimità, pertanto, l'aver qualificato la fattispecie come straining, pur presentando il ricorso riferimenti soltanto al mobbing, non integra violazione dell'art. 112 c.p.c., in quanto si tratta soltanto di adoperare differenti qualificazioni di tipo medico-legale, per identificare comportamenti ostili, che diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità e frustrazione personale o professionale, possa presuntivamente ricondurre a questa forma di danno anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio.

Su tali presupposti, posto che non poteva essere considerata preclusiva di una valutazione della condotta datoriale come straining la prospettazione, nel ricorso di primo grado, della stessa come mobbing, la Suprema Corte accoglie il ricorso presentato dalla lavoratrice.

A cura di Fieldfisher