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Cassazione: le condizioni necessarie per la sussistenza del mobbing nel pubblico impiego


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Con l’ordinanza n. 12364 del 14.05.2020, la Cassazione afferma che, ai fini della configurabilità del mobbing in un rapporto di pubblico impiego, non bastano l’intolleranza ed un controllo assiduo posto in essere dal superiore gerarchico, non potendo dirsi provato il carattere persecutorio a fronte di una situazione conflittuale tra colleghi.

Il fatto affrontato

La lavoratrice, agente di polizia municipale, ricorre giudizialmente nei confronti del Comune datore e di due suoi superiori gerarchici, per ottenere la condanna dei predetti al risarcimento dei danni di natura biologica, psichica, morale ed alla vita di relazione derivati da comportamenti di mobbing posti in essere ai suoi danni e consistenti in pretestuose iniziative disciplinari ed esasperati rilievi sui luoghi di lavoro.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, sostenendo che il superiore gerarchico aveva agito nell'ambito dei poteri conferitigli dall'ufficio ricoperto e che in molte occasioni gli interventi erano stati indirizzati anche nei confronti di altri agenti.

L’ordinanza

La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - afferma, preliminarmente, che ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere:
a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo;
b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra le descritte condotte ed il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.

Secondo i Giudici di legittimità, grava sul lavoratore coinvolto l’onere di provare la sussistenza di un comportamento, posto in essere ai suoi danni, intenzionalmente ed ingiustificatamente ostile, avente le caratteristiche oggettive della prevaricazione e della vessatorietà.

Onere che nel caso di specie - a detta della sentenza - non è stato assolto dalla lavoratrice, che è riuscita a far emergere esclusivamente l’esistenza di posizioni divergenti e/o conflittuali connesse alle ordinarie dinamiche relazionali all'interno dell'ambiente lavorativo.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dall’agente, non ritenendo raggiunta la prova del lamentato mobbing.

A cura di Fieldfisher