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Cassazione: l’accusa falsa formulata nei confronti del lavoratore non integra il mobbing


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Con l’ordinanza n. 7487 del 23.03.2020, la Cassazione afferma che l’accusa falsa formulata dal datore nei confronti di un proprio dipendente non giustifica il risarcimento per mobbing se manca la prova dell’intento persecutorio.

Il fatto affrontato

La lavoratrice, professoressa presso un istituto scolastico, subisce due ispezioni amministrative ed un procedimento penale definito con provvedimento di archiviazione, dopo essere stata indicata come responsabile di episodi di coercizione fisica e verbale nei confronti di alcuni alunni in seguito ad un’estemporanea protesta degli studenti.
In conseguenza di ciò, la medesima ricorre giudizialmente al fine di ottenere il risarcimento del danno da mobbing, sostenendo che la vicenda era stata artatamente strumentalizzata per ledere la sua immagine professionale ed era sfociata in ripetuti atti vessatori avvinti da intento persecutorio.

L’ordinanza

La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - afferma, preliminarmente, che non ogni inadempimento datoriale genera necessariamente un danno, essendo indispensabile ai fini risarcitori una specifica allegazione di parte.

Secondo i Giudici di legittimità, inoltre, l’illegittimità di un singolo atto posto in essere dall’imprenditore non è sufficiente ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo.
 Per la sussistenza di tale fattispecie, infatti, l'elemento qualificante, che deve essere provato da chi assume di avere subìto la condotta vessatoria, va ricercato nell'intento persecutorio che unifica le varie decisioni datoriali connotate da illiceità.

Per la sentenza, ne consegue che la legittimità dei provvedimenti adottati dal datore rileva indirettamente perché sintomatica dell'assenza dell'elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta mobbizzante, unitariamente considerata.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della lavoratrice, non avendo la medesima fornito prova dell’intento persecutorio che avrebbe animato l’istituto datore.

A cura di Fieldfisher