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Cassazione: diritto del datore di rivalersi economicamente sul dipendente, autore della molestia a danno della collega, non sottoposto a procedimento disciplinare


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La Cassazione, Sezione lavoro, con la sentenza n. 7097 del 22.03.2018 afferma che il datore di lavoro, condannato al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2087 c.c. per non aver agito disciplinarmente nei confronti dell’autore della molestia sessuale ai danni di una collega, ha diritto a rivalersi sul responsabile dell’illecito.

Il fatto affrontato

La lavoratrice, in costanza del proprio rapporto di lavoro, era stata vittima non solo di comportamenti vessatori posti in essere da colleghi e superiori gerarchici, ma altresì di molestia sessuale subita da parte di altro dipendente, avente mansioni di autista del sindaco.
Nonostante la dipendente avesse sporto denuncia, l’autore della molestia sessuale non era stato sottoposto ad alcun procedimento disciplinare da parte del datore di lavoro, anche e soprattutto a scopo preventivo.
Pertanto, il datore era stato condannato al risarcimento del danno a favore della vittima per violazione dell’art. 2087 c.c. e, dunque, per non essere intervenuto a rimuovere il fatto lesivo subito dalla propria dipendente.
In sede di giudizio di appello, tuttavia, la Corte aveva condannato l’autista, dipendente comunale, a restituire a titolo di manleva il 60% di quanto corrisposto dall’ente quale risarcimento danno.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, dichiara che, in caso di molestia sessuale subita da una lavoratrice da parte di un collega, il datore è tenuto sì a rispondere ex art. 2087 c.c. per aver omesso di instaurare un procedimento disciplinare nei confronti del responsabile della violenza, ma ha, tuttavia, il diritto di rivalersi sull’autore dell’illecito per essere quest’ultimo venuto meno ai doveri fondamentali che devono interessare qualsiasi rapporto di lavoro.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, il dipendente cui è imputabile la molestia, risponde a titolo contrattuale per essere venuto meno agli obblighi di diligenza e fedeltà ex artt. 2104 e 2105 c.c., nonché ai principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., che operano non solo in riferimento allo svolgimento della propria attività professionale, ma altresì in connessione ai rapporti tra colleghi.

Su tali presupposti la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal lavoratore autore della violenza, riconoscendo il diritto del Comune a vedersi parzialmente manlevato dal dovere di corrispondere il risarcimento del danno alla vittima della molestia.

A cura di Fieldfisher