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Cassazione: datore risarcisce danno da mobbing orizzontale solo se a conoscenza delle attività persecutorie


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Con l’ordinanza n. 1109 del 20.01.2020, la Cassazione afferma che il lavoratore vittima del c.d. mobbing orizzontale - attuato, cioè, dai colleghi - non ha diritto al risarcimento da parte del datore, se quest'ultimo dimostra di non essere stato a conoscenza degli atti persecutori posti in essere dai propri dipendenti.

Il fatto affrontato

La lavoratrice ricorre giudizialmente al fine di ottenere, da parte della società datrice, il risarcimento del danno provocatole dalle condotte mobbizzanti poste in essere nei suoi confronti da alcune colleghe.

L’ordinanza

La Cassazione - confermando la statuizione della Corte d’Appello - afferma, preliminarmente, che il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., è contrattualmente obbligato alla tutela dell'integrità psicofisica dei propri dipendenti.
Ne consegue che, l’imprenditore può essere condannato a risarcire il lavoratore che si ammali in conseguenza del mobbing subito dai propri colleghi, anche se la persecuzione non è stata da lui voluta o perpetrata.

Per la sentenza, la predetta responsabilità non ha, però, natura oggettiva. Dunque, il datore può essere condannato solo se nella sua condotta è ravvisabile un elemento di colpa, ossia la violazione di disposizioni di legge, di contratto o di una regola di esperienza.

Secondo i Giudici di legittimità, quindi, ha diritto al risarcimento solo quel lavoratore mobbizzato che riesca a dimostrare che il datore era a conoscenza dell’attività persecutoria posta in essere dagli altri dipendenti.
Infatti, solo una volta venuto a conoscenza di un possibile stato di malessere del dipendente, l'imprenditore può reagire e porre rimedio alla situazione o rimanere inerte e vedersi, perciò, condannato al risarcimento del danno per non avere adempiuto il proprio obbligo di tutela della salute del lavoratore.

Posto che, nel caso di specie, mancava la prova della consapevolezza del datore circa l'esistenza delle condotte persecutorie ai danni della lavoratrice, la Suprema Corte rigetta il ricorso dalla medesima avanzato.

A cura di Fieldfisher