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Cassazione: anche il risarcimento per mobbing è coperto dall’assicurazione INAIL


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Con l’ordinanza n. 6346 del 06.03.2019, la Cassazione afferma che, laddove sussistano i presupposti per l'esonero dalla responsabilità civile del datore di lavoro, anche il risarcimento del danno riconosciuto ad un dipendente a titolo di mobbing, deve essere ricompreso nella tutela assicurativa INAIL.

Il fatto affrontato

La lavoratrice ricorre giudizialmente al fine di ottenere il risarcimento del danno subito a causa delle condotte mobbizanti poste in essere nei suoi confronti da superiori e colleghi.
La società datrice, oltre a contestare la fondatezza della predetta domanda, chiede - in caso di accoglimento della medesima - di essere esonerata dal pagamento del risarcimento, essendo lo stesso coperto dalla tutela assicurativa INAIL.

L’ordinanza

La Cassazione afferma, preliminarmente, che nell'ipotesi di richiesta di risarcimento del danno patito dal prestatore alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di natura asseritamente vessatoria, il giudice del merito è tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati possano essere considerati mortificanti per il lavoratore e, come tali, ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro.
Soltanto qualora sia accertata la sussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall'interessato si configura una condotta di mobbing, risarcibile a norma dell'art. 2087 c.c.

Per i Giudici di legittimità, anche il mobbing può essere considerato una malattia professionale non tabellata, conseguente all’espletamento della prestazione lavorativa, come tale coperta dalla tutela assicurativa INAIL.
Quest’ultima, infatti, secondo la sentenza, deve essere estesa ad ogni forma di tecnopatia, fisica o psichica, che possa ritenersi conseguenza dell'attività lavorativa, sia che riguardi la lavorazione che l'organizzazione del lavoro e le sue modalità di esplicazione, anche se non compresa tra le malattie tabellate: dovendo il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causalità tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata.

Su tali presupposti, la Suprema Corte conclude sostenendo che, in presenza di un condotta mobbizzante, il giudice di merito deve procedere d’ufficio a verificare se ci sono le condizioni per esonerare l’azienda dal risarcimento, sulla base del complesso meccanismo previsto dall’art. 10 del TU sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, non essendo a tal fine necessaria una domanda di parte.

A cura di Fieldfisher