Stampa

Cassazione: niente reintegra in caso di mansioni diverse da quelle oggetto del patto di prova


icona

Con la sentenza n. 31159 del 03.12.2018, la Cassazione afferma che, in caso di licenziamento nel periodo di c.d. libera recedibilità, laddove venga accertato lo svolgimento di mansioni diverse da quelle previste nel patto di prova, al lavoratore può essere riconosciuto esclusivamente un risarcimento del danno e non già la reintegra prevista, solo in caso di illegittimità del recesso.

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per mancato superamento della prova, chiedendo la reintegra e l’indennità risarcitoria ex art. 18 della l. 300/1970.
A fondamento della propria domanda, il dipendente deduce l’illegittimità del recesso, sul presupposto che la società, avendolo adibito a mansioni diverse da quelle previste nel relativo patto di prova, non aveva potuto effettivamente valutare il suo operato.

La sentenza

La Cassazione, ribaltando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, preliminarmente, afferma che solo la previsione di un patto di prova illegittimo produce l'effetto della conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro e la conseguente applicazione della tutela reintegratoria, essendo stato il recesso intimato in assenza di giusta causa o di giustificato motivo.
Tale circostanza, secondo i Giudici di legittimità si ravvisa, però, unicamente nell’ipotesi di nullità genetica del patto di prova per assenza di comunicazione scritta anteriore all'inizio della prestazione e per mancata o generica indicazione delle mansioni oggetto di valutazione.

Laddove, invece, vi sia solo un vizio funzionale, rappresentato dalla non coincidenza delle mansioni espletate in concreto rispetto a quelle indicate nel patto di prova, per la sentenza il lavoratore ha diritto esclusivamente ad ottenere il ristoro del pregiudizio sofferto mediante la prosecuzione del rapporto di lavoro ovvero tramite il riconoscimento di un risarcimento del danno.
Trattasi, infatti, di un mero inadempimento dell’accordo tra le parti, che non incarna una forma di nullità dello stesso, tale da comportare la conversione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Alla luce di ciò, la Suprema Corte, confermando la validità del patto di prova, accoglie il ricorso proposto dalla società, rinviando alla Corte d’Appello per la determinazione del risarcimento del danno dovuto al lavoratore, al quale non era stato consentito lo svolgimento della mansioni oggetto di prova.

A cura di Fieldfisher