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Cassazione: in caso di sfruttamento si integra sempre il reato di caporalato?


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Con la sentenza n. 28289 del 19.07.2022, la Cassazione penale afferma che, ai fini dell’integrazione del reato di caporalato di cui all'art. 603 bis c.p., non basta che ricorrano i sintomi dello sfruttamento, ma occorre anche l'abuso della condizione di bisogno in cui riversa il dipendente ed il vantaggio che da tale posizione viene volontariamente tratto.

Il fatto affrontato

Il datore di lavoro viene imputato, ai sensi dell’art. 603 bis c.p., per aver sottoposto decine di braccianti agricoli di provenienza straniera a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno.

La sentenza

La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che il legislatore, all’interno dell’art. 603 bis c.p., ha scelto di punire non lo sfruttamento in sé, ma solo l'approfittamento di una situazione di grave inferiorità del lavoratore (sia essa economica o meno) che lo induca a svilire la sua volontà contrattuale sino ad accettare condizioni cui altrimenti non avrebbe acconsentito.

Secondo i Giudici di legittimità, a tal fine non bisogna indagare sulla sussistenza di una posizione di vulnerabilità, da intendersi come assenza di un'altra effettiva ed accettabile scelta, diversa dall'accettazione dell'abuso.

Per la sentenza è, infatti, necessario che sussista un vero e proprio stato di bisogno, ossia uno stato di necessità che si identifica come un impellente assillo e, cioè una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, in grado di limitare la volontà della vittima, inducendola ad accettare condizioni particolarmente svantaggio.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso dell’imputato, non avendo la pronuncia di merito provato in alcun modo lo stato di bisogno dei lavoratori coinvolti.

A cura di Fieldfisher