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Cassazione: assicurata dall’INAIL la malattia da stress lavorativo che, seppur non tabellata, è conseguenza dell’attività lavorativa


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Con l’ordinanza n. 5066 del 05.03.2018, la Cassazione afferma che ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa deve essere assicurata dall'INAIL, pur se non compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il prestatore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata, rilevando, ai sensi del TU 1124/1965, non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio.

Il fatto affrontato

La lavoratrice ricorre giudizialmente per chiedere la condanna dell’INAIL al pagamento della rendita per inabilità permanente, in relazione alla malattia professionale non tabellata da lei contratta a causa dello stress lavorativo dovuto ad un numero elevatissimo di ore di straordinario e consistente in un grave disturbo dell’adattamento con ansia e stato depressivo, caratterizzato da attacchi di panico.

L’ordinanza

La Cassazione censura la statuizione con cui la Corte di Appello aveva affermato che la malattia in questione era correlata a scelte di organizzazione del lavoro in ambito aziendale, che come tali non erano considerate rischio assicurato dal relativo TU (d.lgs. 1124/1965) e non risultavano suscettibili di incidere sulla determinazione del premio dell’assicurazione obbligatoria.

Secondo i Giudici di legittimità, invece, nell’ambito del sistema delineato dal citato TU rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio, ossia collegato con la prestazione seppur non strettamente insito nell’atto materiale della stessa.

Alla luce di ciò sono, pertanto, indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi, invece, ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica.

La sentenza conclude, quindi, affermando che, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata del comma 4 dell’art. 10 della l. 38/2000, ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa deve essere assicurata dall'INAIL, pur se non compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il prestatore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dalla lavoratrice, cassando con rinvio la sentenza impugnata.

A cura di Fieldfisher