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Corte Costituzionale: la neutralizzazione dei contributi dannosi vale anche per i lavoratori autonomi


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Con la sentenza n. 173 del 23.07.2018, la Corte Costituzionale afferma l’illegittimità costituzionale degli artt. 5, comma 1, l. 233/1990 ed 1, comma 18, l. 335/1995, nella parte in cui, ai fini della determinazione delle rispettive quote di trattamento pensionistico, nel caso di prosecuzione dell’attività da parte del lavoratore autonomo che abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva minima, non prevedono l’esclusione dal computo della contribuzione successiva ove questa comporti un trattamento pensionistico meno favorevole (c.d. neutralizzazione dei contributi dannosi).

Il caso affrontato

La Corte d’Appello di Trieste solleva, in riferimento agli artt. 3, 1° e 2° comma, 35, 1° comma, e 38, 1° e 2° comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della l. 233/1990 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi) e dell’art. 1, comma 18, della l. 335/1995 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), nella parte in cui non prevedono che, nel caso di esercizio da parte del lavoratore di attività autonoma, successivamente al momento in cui egli abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata al raggiungimento dell’età pensionabile calcolata con i contributi minimi già versati, escludendo quindi dal computo, ad ogni effetto, i periodi successivi e la relativa contribuzione meno favorevole e perfino dannosa.

La sentenza

La Corte Costituzionale afferma, preliminarmente, che il principio di esclusione dei contributi dannosi, quelli cioè che abbassano la pensione, è chiamato ad assolvere la funzione di costituire un limite intrinseco alla discrezionalità del legislatore nella scelta del periodo di riferimento della retribuzione pensionabile e vale anche per il reddito dei lavoratori autonomi.
Con la conseguenza che risulta irragionevole che il versamento di contributi correlati all’attività lavorativa prestata dopo il conseguimento del requisito per accedere alla pensione, anziché assolvere alla funzione fisiologica e naturale di incrementare il trattamento pensionistico, determini il paradossale effetto di ridurre l’entità della prestazione.

Le norme in esame, continua la Consulta, non prevedendo per i lavoratori autonomi, iscritti alla Gestione separata dell’INPS, l’applicazione del principio di neutralizzazione dei contributi dannosi (già affermato da anni per i prestatori subordinati), determinano per gli stessi un consistente pregiudizio patrimoniale, qualificabile sia in termini di lucro cessante che di danno emergente.
I medesimi, infatti, oltre a non percepire i ratei pensionistici, non vedono aumentare la pensione nonostante un maggiore versamento contributivo, vedendo, anzi, una riduzione della prestazione rispetto a quella calcolata alla maturazione del diritto.

Alla luce di quanto sopra la Corte Costituzionale “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge 2 agosto 1990, n. 233, e dell’art. 1, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (, nella parte in cui, ai fini della determinazione delle rispettive quote di trattamento pensionistico, nel caso di prosecuzione della contribuzione da parte dell’assicurato lavoratore autonomo che abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva minima, non prevedono l’esclusione dal computo della contribuzione successiva ove comporti un trattamento pensionistico meno favorevole”.

A cura di Fieldfisher