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Cassazione: la prosecuzione del rapporto di lavoro fino ai 70 anni non è un diritto ma solo una possibilità


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Con la sentenza n. 20089 del 30.07.2018, la Cassazione afferma che l’art. 24, comma 4, del D.Lgs. 201/2011 non riconosce al lavoratore alcun diritto soggettivo a rimanere in servizio fino al compimento del settantesimo anno d’età, prevedendo soltanto tale circostanza come mera possibilità da concordare con l’azienda datrice.

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli dalla società datrice per raggiunti limiti d’età.
A fondamento della propria domanda deduce la violazione del diritto di lavorare fino al compimento dei settanta anni, riconosciuto nel nostro ordinamento dall’art. 24, comma 4, del D.Lgs. 201/2011.

La sentenza

La Cassazione, nel confermare quanto stabilito dalla Corte d’Appello, richiama un noto precedente giurisprudenziale (SS.UU. 17589/2015), affermando che la disposizione, di cui all’art. 24, comma 4, del D.Lgs. 201/2011, nel prevedere che "il proseguimento dell'attività lavorativa è incentivato ... dall'operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all'età di settant'anni ..." non attribuisce al lavoratore un diritto di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro, né consente allo stesso di scegliere tra la quiescenza o la continuazione del rapporto stesso.

Secondo i Giudici di legittimità, la suddetta norma, se correttamente interpretata, prevede solo la possibilità che, grazie all'operare di coefficienti di trasformazione calcolati fino all'età di settanta anni, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore.

A tal fine, continua la sentenza, l’articolo de quo presuppone che non solo si siano create dette più favorevoli condizioni previdenziali, ma anche che, grazie all'incentivo in questione, le parti consensualmente stabiliscano la prosecuzione del rapporto sulla base di una reciproca valutazione di interessi.
Pertanto, la norma, nell'incentivare il proseguimento del rapporto sino al settantesimo anno, non individua un diritto soggettivo in capo al lavoratore indipendentemente dalla volontà comune del datore.

Posto che, nel caso di specie, difetta il requisito necessario della comune volontà delle parti del rapporto sulla prosecuzione dello stesso, la Suprema Corte respinge il ricorso proposto dal lavoratore.

A cura di Fieldfisher