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Italia nel mirino UE per abuso dei contratti a termine nella PA. Il Parere motivato della Commissione.


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L'Italia torna nel mirino dell'Ue per le condizioni di lavoro discriminatorie nel settore pubblico e l'abuso dei contratti a tempo determinato. 

Bruxelles ha inviato a Roma un parere motivato, secondo step previsto dalla procedura di infrazione avviata nel 2019, evidenziando che " la normativa italiana non previene né sanziona in misura sufficiente l'utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato per diverse categorie di lavoratori del settore pubblico ".

Il riferimento è alla direttiva 1999/79/CE che "impone di non discriminare a danno dei lavoratori a tempo determinato e obbliga gli Stati membri a disporre di misure atte a prevenire e sanzionare l'utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato". 

Secondo la Commissione UE , la legge italiana "non previene né sanziona in misura sufficiente l'utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato per diverse categorie di lavoratori del settore pubblico in Italia… “. 

Tra le figure più esposte alle discriminazioni compaiono insegnanti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola pubblica, operatori sanitari, lavoratori del settore dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica e del settore operistico, personale degli istituti pubblici di ricerca, lavoratori forestali e volontari dei vigili del fuoco nazionali. Per la commissione "alcuni di questi lavoratori hanno anche condizioni di lavoro meno favorevoli rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, situazione che costituisce una discriminazione e contravviene al diritto dell'Unione". 

Sebbene l'Italia abbia fornito spiegazioni sulle proprie norme nazionali già nel 2020, la Commissione le ha ritenute non soddisfacenti e dà ora seguito all'esame con un parere motivato. L'Italia dispone ora di 2 mesi per rimediare alle carenze individuate dalla Commissione, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di deferire il caso alla Corte di giustizia dell'UE. 

Fonte :  Commissione UE