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Cambio appalto e trasferimento d’azienda nell’art 29, c 3, d.lgs. 276/2003: una distinzione non sempre agevole


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Il contributo affronta la questione dell’interpretazione dell’art. 29, c 3, del d.lgs. 276/2003 in merito al cambio di appalto e fornisce i criteri per facilitare la distinzione fra successione negli appalti e il trasferimento d’azienda (art. 2112 cc.). Infine, l’analisi delle disposizioni normative non può prescindere da un confronto con le previsioni di alcuni dei principali contratti collettivi.

 

1. Le recenti modifiche legislative

L’art. 30 della Legge Europea del 2015 / 2016 ha dettato nuove regole in merito ai rapporti di lavoro dei lavoratori occupati in un appalto nell’ipotesi di subentro del nuovo appaltatore.

In particolare, dal 23 luglio 2016 è entrata in vigore la nuova disciplina in materia di successione negli appalti contenuta nel nuovo testo del terzo comma dell’art. 29 del d.lgs. 276/2003, come sostituito dall’art. 30 della l. n. 122/2016 (Gazzetta Ufficiale n. 158 dell’8 luglio 2016), “Legge Europea 2015-2016”, che assicura l’adempimento da parte dell’Italia degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea.

Trattasi di norma destinata, pur tra molte incertezze, a governare il quadro regolatorio afferente ai rapporti di lavoro dei lavoratori occupati in un appalto in occasione del subentro di un nuovo appaltatore.

Difatti, le formule utilizzate dal legislatore per identificare i requisiti di esonero dalla disciplina del trasferimento di azienda espongono gli operatori ad incertezze operative.

Per comprendere il senso e la portata della disciplina introdotta dalla l. n. 122/2016 sembra opportuno muovere dal testo previgente del terzo comma dell’art. 29 d.lgs. n. 276/2003, il quale stabiliva che:

“L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto, non costituisce trasferimento di azienda o di parte di azienda”.

Il testo vigente della medesima disposizione, invece, stabilisce che:

“L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda”.

 

2. Le condizioni che escludono la configurabilità di un trasferimento di azienda.

Se, dunque, la versione previgente della norma escludeva qualsiasi ipotesi di cambio di appalto con assorbimento del personale già occupato dall’ambito del trasferimento di azienda di cui all’art. 2112 c.c., al contrario l’attuale disposizione subordina tale esclusione a due elementi sostanziali, che devono sussistere e ricorrere in concreto nella fattispecie del subentro da parte del nuovo imprenditore.

Tali elementi sostanziali risiedono, da una parte, nel fatto che il nuovo appaltatore abbia “una propria struttura organizzativa e produttiva” autonoma rispetto al gruppo di dipendenti che viene ad essere assorbito e, dall’altra, nel fatto che la realizzazione dell’opera ovvero lo svolgimento del servizio siano caratterizzati da chiari “elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa”.

In sostanza, sulla base del nuovo testo normativo, gli elementi necessari e qualificanti per escludere il trasferimento di azienda sono:

1) le qualità soggettive del soggetto subentrante;

2) l’oggettiva discontinuità imprenditoriale.

All’evidenza si tratta di requisiti che devono risultare entrambi contemporaneamente sussistenti e devono essere individuati nel concreto, non essendo escluso affatto, purtroppo, un probabile contenzioso stante l’ambiguità delle definizioni dei due requisiti che consente differenti e non univoche interpretazioni possibili.

Nello specifico, non può non evidenziarsi che il primo requisito risulta di più semplice ed agevole interpretazione, risolvendosi nel fatto che il nuovo soggetto subentrante abbia una autonoma organizzazione.

Invero, dovrà ritenersi che vi sia una possibile identità di impresa tra l’attività del primo appaltatore e quella del secondo ove si tratti di mera mutazione della titolarità della stessa. Ciò significa che per escludersi la configurabilità del trasferimento di azienda, è richiesto all’imprenditore di subentrare nell’appalto con una propria struttura sia sul piano organizzativo che operativo, dovendosi in tal modo escludere che si trasferiscano, oltre ai dipendenti già assegnati all’appalto, anche beni e mezzi di rilevante entità utilizzati dall’appaltatore uscente.

Indice chiaro di una organizzazione autonoma e propria dell’imprenditore subentrante deve sicuramente trarsi dalla presenza di propri dipendenti oltre a quelli già precedentemente impiegati nell’appalto.

Ulteriore elemento qualificante una struttura organizzativa propria del nuovo appaltatore è ravvisabile nell’utilizzo di beni e/o strumenti propri ai fini dell’espletamento del servizio o dell’opera commissionata, escludendosi in tal modo un mero cambio di titolarità dell’azienda.

 

2.1. Il concetto di discontinuità

Individuare il concetto di discontinuità risulta operazione più delicata.

Al fine di chiarire in maniera esaustiva la nozione di “identità di impresa”, così così come richiamata dal nuovo terzo comma dell’art. 29 d.lgs. n. 276/2003, appare opportuno fare riferimento preliminarmente a quanto si rinviene a tal riguardo nelle fonti comunitarie.

L’art. 1 della Direttiva CEE del 29 giugno 1998, n. 50, prevede che, in materia di trasferimento di azienda, si possa parlare di identità quando un’azienda conservi il medesimo “insieme di mezzi organizzati, al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria”.

La Corte di Giustizia, intervenuta anch’essa sul punto, sostiene che l’identità sia integrata laddove venga essenzialmente conservato il complesso dei beni materiali ed immateriali, comprensivi del personale e delle sue competenze, necessarie ed imprescindibili all’esercizio di una specifica e stabile attività economica imprenditoriale. Da ciò si trae la conclusione che al fine di configurare la richiamata identità non basta la mera cessione di alcuni mezzi o l’assunzione di qualche dipendente (per tutte, Corte Giust. 11 marzo 1997, causa 13/95).

Secondo la Corte di Cassazione, poi, è ravvisabile la conservazione dell’identità di impresa quando permangono gli stessi mezzi, beni e rapporti giuridici funzionalizzati all’esercizio stabile continuativo di attività economica in forma di impresa (Cass. 21 agosto 2015, n. 17063; Cass. 17 gennaio 2013, n. 1102; Cass. 8 luglio 2011, n. 15094).

Quanto sopra consente di affermare che si ricade, dunque, nella disciplina dell’art. 2112 c.c. quando si riscontra un’identità tra le due imprese e vi è solo una variazione della titolarità.

Dovrà, quindi, escludersi che si verta in una ipotesi di “identità di impresa”, ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all’art. 2112 c.c. e, quindi, di un trasferimento di azienda con tutto ciò che ne consegue, ove il soggetto subentrante sia caratterizzato da una propria specifica organizzazione e gestione dei processi lavorativi che venga a divergere da quella posta in essere dal precedente appaltatore rispetto a tutti quei tratti che concorrono, nel loro complesso, a configurare il contratto di appalto assunto.

In tali termini, si può immaginare che la specifica organizzazione dell’imprenditore subentrante preveda una gestione del tutto diversa del servizio appaltato, come ad esempio e a seconda della tipologia del servizio richiesto, nel caso in cui il servizio venga effettuato attraverso l’utilizzo di beni / strumenti propri del nuovo appaltatore e dal medesimo forniti.

Allo stesso modo, la richiesta discontinuità nel servizio è sicuramente configurabile laddove, nel medesimo, l’appaltatore subentrante impieghi in tutto o in parte il proprio personale, in quest’ultima ipotesi assumendo dall’imprenditore uscente solo quei lavoratori che risultino necessari a ricoprire eventuali sue carenze di organico.

Potrebbe, peraltro, accadere che, sempre nell’ambito della propria diversa organizzazione del lavoro, l’imprenditore subentrante utilizzi il personale impiegato nell’appalto, tra cui, in caso, anche lavoratori pervenuti dal precedente appaltatore, attraverso modalità di svolgimento che comportano una differente distribuzione dell’orario di lavoro dei singoli lavoratori, secondo quelle che sono le esigenze organizzative dell’imprenditore subentrante e divergenti dalla precedente organizzazione stabilita dall’appaltatore uscente.

Per esempio, il nuovo appaltatore potrebbe decidere:

a) di impiegare sul servizio tutti i lavoratori del precedente appaltatore unitamente al proprio personale dipendente, organizzando l’orario di lavoro complessivo tra tutti con diversa distribuzione dell’orario di ciascun dipendente, che va quindi ad incidere anche sia sul monte orario che sui turni di servizio;

b) di impiegare sul servizio i propri dipendenti ai quali aggiungere solo alcuni dei lavoratori impiegati dal precedente appaltatore, questi ultimi necessari a garantire l’esecuzione corretta dell’appalto;

c) di utilizzare beni e strumenti propri per l’esecuzione del servizio che, in base alle loro caratteristiche, possono incidere sui tempi di esecuzione, sul risultato e sulla qualità del servizio.

Ipotesi, quindi, quelle sopra richiamate, che si verificano nella maggior parte dei cambi di appalto e nelle quali sono senz’altro ravvisabili elementi di discontinuità, rispetto al precedente appaltatore, idonei a rilevare la specifica identità dell’impresa subentrante.

 

3. Le previsioni della contrattazione collettiva.

La riforma normativa in oggetto non può, peraltro, prescindere da un confronto con quelle che sono le previsioni risultanti da specifici contratti collettivi nazionali, quali espressione dell’incontro della volontà e determinazione delle parti sociali, in relazione alla disciplina propria del cambio appalto ivi espressamente contemplata.

Non può, infatti, non darsi atto che la vigente contrattazione collettiva, come ad esempio nel settore della vigilanza nonché in quello delle imprese di pulizia e dei servizi integrati, configura il cambio appalto quale ipotesi riconducibile ad una cessazione del rapporto di lavoro con l’impresa cessante ed una assunzione ex novo alle dipendenze del nuovo appaltatore, così escludendo la configurabilità di un trasferimento di azienda di cui all’art. 2112 c.c. con passaggio senza soluzione di continuità dei lavoratori alle dipendenze del nuovo soggetto titolare dell’appalto.

Trattandosi di disposizione oggetto di condivisione e concertazione tra le parti coinvolte, sia sotto il profilo della rappresentanza dei datori di lavoro che dei lavoratori, non può dubitarsi dell’effettiva intenzione delle parti medesime, coinvolte più del legislatore negli aspetti concreti che ineriscono alle diverse vicende che possono interessare il rapporto di lavoro, di negare i tratti caratterizzanti un trasferimento / cessione di azienda alla ipotesi del cambio appalto.

La contrattazione intervenuta dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina in materia di successione degli appalti di cui al già richiamato terzo dell’art. 29 d.lgs. n. 276/2003 e, quindi, ricettiva degli elementi previsti per escludere la configurabilità di un trasferimento di azienda in ipotesi di cambio di appalto, non contraddice quanto sopra esposto. In particolare:

- il CCNL delle agenzie di sicurezza sussidiaria non armata – Aiss espressamente, all’art. 94, precisa che “… non ogni successione sull’appalto può essere assimilata a cessione di azienda o ramo di azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. ma solo quella che abbia luogo tra imprese aventi struttura e modalità operative tra loro pienamente compatibili … tenuto altresì conto che la cessione di appalti di servizi non è regolata allo stato da leggi statuali, ma solo da specifiche clausole contrattuali collettive”;

- il CCNL attività ferroviarie e il CCNL Ferrovie dello Stato, all’art. 16, punto 2.3, comma 4, prevede l’estensione della disciplina di cui al D.Lgs. n. 23/2015 (Jobs Act) e, quindi, delle norme applicabili in caso di licenziamento “ai lavoratori che hanno instaurato un rapporto di lavoro nel settore a partire dalla data di entrata in vigore del citato D.Lgs.”; clausola che, in quanto riferita all’ipotesi di licenziamento, prefigura anch’essa uno schema diverso da quello tipico del trasferimento di azienda;

- il CCNL metalmeccanici (industria) e il CCNL metalmeccanici (cooperative, rispettivamente all’art. 10 e all’art. 9bis, stabiliscono che: “L’azienda uscente non è tenuta al pagamento del preavviso … nonché la sua indennità sostitutiva ai lavoratori assunti all’impresa subentrante”; previsione, anche questa, che presuppone, quindi, la cessazione del rapporto con l’impresa uscente, attraverso il licenziamento del dipendente, e un’assunzione ex novo presso l’appaltatore subentrante;

- il CCNL commercio – Confesercenti, nella disposizione “Cessazione e cambio di appalto”, prevede che l’assunzione del personale dell’appaltatore uscente in capo all’appaltatore subentrante avvenga “senza applicazione delle procedure per la riduzione del personale di cui alla legge n. 223/1991”, risultando idoneo e sufficiente procedere con un licenziamento individuale plurimo.

In conclusione, l’intervento normativo di cui si è discusso non induce a ritenere che si verta in una situazione di stravolgimento dei precedenti assetti normativi bensì di mero chiarimento, sotto i profili di un possibile – non necessario - trasferimento di azienda in fattispecie di cambio di appalto, fermo restando che non si può escludere la configurabilità di un trasferimento di azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. laddove si assista semplicemente ad un mutamento nella sola titolarità dell’azienda interessata dal cambio di appalto.

 

A cura dell’Avv. Cristiana Pilo Fieldfisher e dell’Avv. Andrea Lucà Fieldfisher