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Cassazione: inopponibilità nei confronti dell’INPS della transazione intervenuta tra datore e lavoratore


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Con l’ordinanza n. 12652 del 13.05.2019, la Cassazione afferma che, alla luce dell’autonomia dell’obbligo contributivo rispetto al rapporto lavorativo, il contenuto della transazione intervenuta tra datore e lavoratore è irrilevante sotto il profilo del versamento dei contributi e, come tale, è inopponibile nei confronti dell’INPS.

Il fatto affrontato

Il Tribunale con sentenza del 26.01.2005 accertava la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra l’azienda e la lavoratrice e condannava la società al pagamento delle retribuzioni omesse dalla data di messa in mora (26.05.2003) sino alla sentenza.
La predetta pronuncia non veniva appellata, ma, nella pendenza del termine per proporre l’impugnazione, le parti sottoscrivevano un verbale di conciliazione in sede sindacale, con il quale riconoscevano che il rapporto di lavoro era cessato alla data del 28.02.2003 per naturale scadenza del termine.
Nonostante ciò, l'INPS, con verbale di accertamento del 01.03.2010, quantificava i contributi dovuti dalla società per il periodo (dal 26.05.2003 al 26.01.2005) accertato nella suddetta sentenza.

L’ordinanza

La Cassazione, confermando la statuizione della Corte d’Appello, afferma che, in materia di obbligo contributivo del datore di lavoro, la transazione intervenuta tra questi ed il lavoratore è inopponibile all'Istituto previdenziale.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, il rapporto assicurativo e l'obbligo contributivo ad esso connesso, pur sorgendo contemporaneamente con l'instaurazione del rapporto di lavoro, sono del tutto autonomi e distinti.
L'obbligo del datore, invero, sussiste nei confronti dell'Istituto previdenziale indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore siano stati adempiuti, in tutto o in parte, o che il lavoratore abbia rinunciato ai propri diritti.

Nel caso di specie, precisa la Cassazione, l'accordo transattivo non impedisce all'INPS di avvalersi dell'accertamento compiuto dal giudice in primo grado, in quanto tale accertamento costituisce comunque un'affermazione obiettiva di verità sui fatti accertati e sull'esistenza di un rapporto di lavoro nei termini individuati in sentenza, con conseguenze dirette anche sugli oneri contributivi.

Su tali presupposti, la Suprema Corte respinge il ricorso proposto dalla società, confermando l’obbligo della stessa di versare i contributi così come quantificati dall’INPS.

A cura di Fieldfisher